Il colloquio con Gentiloni e Padoan, l’ipotesi di intervento proporzionale degli istituti
L’intervento «di sistema» per mettere in sicurezza Veneto Banca e Popolare Vicentina fatica a decollare. Almeno nella forma ipotizzata dopo il blitz con cui in meno di 24 ore in Spagna il Santander ha comprato il Banco Popular a 1 euro salvandolo dalla bancarotta. Nessuno vuole accollarsi tout court le due banche. Anche l’ipotesi che i due «cavalieri bianchi» Intesa Sanpaolo e UniCredit possano prendere rispettivamente Veneto e Vicentina non sembra percorribile. Il governo lo sa. A inizio settimana il premier Paolo Gentiloni e il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan hanno incontrato il ceo di Unicredit, Jean Pierre Mustier. E anche il numero uno di Intesa Sanpaolo, Carlo Messina. Entrambi i banchieri hanno escluso la possibilità un intervento diretto ma si sono detti pronti a ragionare su possibili alternative per evitare di mandare Veneto e Vicentina in bail-in o, peggio, in liquidazione. Si tratta di trovare quegli 1,25 miliardi che Ue e Bce hanno chiesto ai privati di mettere, per accompagnare l’intervento dello Stato. La condizione posta dai due banchieri è che la soluzione abbia o impatto zero sul sistema bancario oppure minimizzi il costo del salvataggio, ma soprattutto che partecipino tutti gli istituti. Unicredit, unica banca italiana «Sifi» ovvero di importanza sistemica, avrebbe quindi iniziato a sondare il mercato, anche a livello europeo, per valutare come muoversi. «Si sta lavorando per trovare una soluzione, qualunque essa sia», ha confermato ieri il direttore generale di Unicredit, Gianni Franco Papa.
La strada è stretta. E anche i tempi lo sono. La prima ipotesi, quella a impatto zero, è molto difficile da realizzare. Si tratterebbe di insistere a Bruxelles sul fatto che nelle banche venete i privati i capitali li hanno già messi, 3,5 miliardi attraverso il fondo Atlante, e quindi ora si può procedere con l’intervento dello Stato. Ma il commissario Margrethe Vestager non arretra di un centimetro. Così ha iniziato a prendere forma un’alternativa, su cui sono in corso verifiche, che coinvolgerebbe l’intero sistema bancario. Il ragionamento è tutto sommato semplice: in caso di fallimento dei due istituti, il Fondo di risoluzione dovrebbe intervenire con oltre 11 miliardi di euro, tutti a carico delle banche. Un’ipotesi più probabile che remota, davanti alla quale stanziare subito 1,2 miliardi è di gran lunga preferibile. Spalmati sui bilanci dell’intero sistema l’impatto sarebbe minimo. Ma affinché la soluzione diventi concreta è tassativo l’intervento di tutte le banche, con percentuali variabili che potrebbero essere calcolate secondo la quota di partecipazione al Fondo di risoluzione o al Fondo di garanzia. Le valutazioni sono in corso. Dipende anche dalla cornice delle regole europee all’interno della quale può avvenire un intervento di questo tipo. Sul punto non c’è ancora chiarezza. Le valutazioni riguardano anche il veicolo. Potrebbe essere lo stesso Fondo di risoluzione oppure Atlante, che è già azionista unico dei due istituti e quindi renderebbe più semplice l’intervento. Ma non è detto che ci stiano tutte le banche.
Il Corriere della Sera