«Io c’ero e me lo ricordo». Dico così alle mie nipoti, classe 2010, oggi. Loro, due gemelle, mi guardano come se fossi appena uscita da un buco spazio temporale. Io, invece, pronuncio quella frase come se davvero fosse passato un secolo e non solo sette anni. Ovvero giusto la loro età, scandita oggi dalle tante passioni che hanno e da sempre da quel tablet del papà o della mamma su cui ogni tanto posano la loro attenzione per vedere un film in viaggio, fare qualche gioco e iniziare a navigare su Internet.
Era infatti il 3 aprile 2010 il giorno in cui comparve negli Apple Store il primo iPad della storia che diede il via al mercato dei tablet. Il 27 gennaio dello stesso anno, un signore chiamato Steve Jobs si era presentato, con quel look essenziale che lo caratterizzava sempre e la malattia che gli scalfiva il corpo ma non lo spirito, sul palco dello Yerba Buena Center a San Francisco. Mostrò al mondo l’iPad come se Leonardo Da Vinci in persona avesse tolto il velo a uno dei suoi progetti di “macchina volante”. Con la differenza però che l’idea di Jobs e dei suoi “geni di Cupertino” funzionava da subito mentre quella del grande inventore non lo avrebbe fatto se non molti secoli dopo.
La chiamavamo “tavoletta magica”, ma ad usare oggi questo sinonimo le due gemelle mi guardano basite: «E che ha di magico?», chiedono quasi in coro. Ai loro occhi non c’è nulla di straordinario in quello schermo portatile. E’ un “mezzo” che hanno sempre avuto, del quale non hanno vissuto il passaggio “non esiste – adesso non ne farai più a meno”. Guai dunque a chiamarlo in altro modo con le “tecnologiche twins”: si chiama iPad e basta. Al massimo tablet, appunto, ma che abbia cambiato il modo di fruire dei contenuti di qualsiasi natura (video, informazione, libri, etc. etc. etc.) non conta per chi in fondo non rientra nemmeno nella categoria dei Millennials.
In Italia arrivò il 28 maggio del 2010, le gemelle avevano fatto da poco quattro mesi. Noi ancora stavamo imparando a scaricare le App ottimizzate per il nuovo device e a capire se e come e quando i giornali e tutto il mondo dei media sarebbe arrivato ad avere versioni digitali fatte ad hoc per i tablet. L’altroieri per la mia generazione, un secolo fa per quella di Luna e Margo, le bimbe che conoscono il virtuale tanto quanto il reale e di certo non lo hanno mai temuto, sotto l’occhio attento dei genitori.
Nella sua prima versione quel condensato di meraviglia, (lo era e lo è ancora per noi “vecchi”), aveva uno schermo da 9,7 pollici con risoluzione di 1024×768 pixel. Oggi siamo arrivati, andando al top di gamma, all’iPad Pro che ha uno schermo Retina da 12,9 pollici e risoluzione di 2732×2048. Il buon vecchio “numero 1” rimane però vincente sul peso: 440 grammi contro 723. Ma anche a quello avrebbero provveduto gli ingegneri di casa Apple, sfornando la versione Mini (intorno ai 300 grammi l’attuale numero 4 della serie) o il diretto erede, l’iPad 4 , dal peso di soli 9 grammi in più rispetto al “genitore” ma che mantiene lo stesso schermo da 9,7 pollici e caratteristiche ovviamente molto più avanzate. O quello che ancora deve venire: il prossimo che un giorno sarà magari solo una proiezione della mente che le gemelle proveranno a spiegarmi.
E magari lo faranno con la stessa tenerezza con cui io ora aiuto mia zia di novant’anni quando la settimana enigmistica la mette in difficoltà con termini per lei improbabili sul mondo della tecnologia. “Nennella ma rutér che vo’ ricere?”, ad esempio mi chiede con accento napoletano (“Bimba mia, cosa si intende per router?”). Ma poi se le dai un rebus di quelli che manco Leonardo Da Vinci o Steve Jobs potrebbero risolvere, lei te lo “chiude” in dieci minuti. E all’innata saccenza di Margo e Luna io lo racconto con fierezza e sempre con la stessa conclusione: «Bimbette, lei lo fa senza l’aiuto di Internet».
Il Secolo XIX