di Cesare Lanza
Scommettiamo che Tomaso Staiti di Cuddia delle Chiuse non sarà ricordato come merita? È il destino di chi sceglie, nel profondo, la solitudine, la ribellione, il rifiuto di compromessi e di compagnie non gradite. È morto giovedì, ultra ottuagenario. E ne scrivono per la sua immagine di irresistibile bon vivant. Si era ritirato a Lesa, provincia di Novara: un piccolo Comune, sulle rive del lago Maggiore. Un giornale del Ticino ha titolato addirittura che «ci piaceva perché scopava». Un riferimento indiscutibile: avrà avuto mille donne, nobili e fantesche, ricche e umili, attrici, dame golose espugnate nei salotti, colpi di fulmine esauriti dopo due ore… Una fama simile a quella del playboy Gigi Rizzi, celebre perché aveva sedotto Brigitte Bardot (ma Tomaso lo invidiava per la bella morte: fulminato mentre brindava con una coppa di champagne in mano). Finita la dolce vita, Tomaso era assistito da Yvonne e aveva scritto un libro di memorie con lo stile di Giacomo Casanova. Poker, auto, donne, night, sfide a duello, voli in paracadute. Ho frequentato il Barone nero – così lo chiamavano – a Milano, quando dirigevo La Notte, colpito dalla sua interiore qualità, al di là delle stupefacenti apparenze (Susanna Agnelli lo definì il deputato più elegante di Montecitorio). Era un vero uomo, audace e generoso: un fascista puro, isolato perché intransigente nella custodia dei «suoi» valori: sempre senza violenze, spesso con iniziative condivisibili. Un idealista, un sognatore: un lupo solitario. Non a caso, Giorgio Almirante diceva che era «un rompiballe», scomodo nella destra che fu.
di Cesare Lanza, La Verità