di Cesare Lanza
Scommettiamo che possono bastare tre parole per individuare interlocutori fastidiosi, da evitare come la peste? Nei talk show, nei salotti, in treno. Le parole sarebbero numerose, ma ne ho scelto tre, indizi perfetti di chiacchiere moleste. La prima è «detto ciò» (o «ciò detto»). Se qualcuno, dopo avervi inflitto qualche dimenticabile banalità, aggiunge «detto ciò», con sussiego, come se avesse trasmesso ai posteri un concetto imperdibile, cambiate canale 0 allontanatevi con una scusa: siete di fronte a un parolaio tanto inutile quanto presuntuoso. La seconda parola è «percorso»: in questo caso è in agguato la psicologia da bar. Chi vi parla, per raccontarvi la sua vita 0 commentare quella degli altri, cerca collegamenti bizzarri con l’infanzia, gli amori smarriti, un dolore subito. Alla larga! Infine, chi conclude dicendo «sono consapevole che…». Fino a 30 anni fa era un’espressione insolita, quasi raffinata, venata di ironia. Purtroppo è piaciuta a molti, troppi: oggi fiorisce sulle labbra di calciatori, politici di seconda fascia che se la tirano, veline speranzose di distinguersi nella massa. Ma consapevolezza de che? Di aver detto stupidaggini incomprensibili e di essere pronti a rovesciarcene addosso tante altre? Se avete pazienza, potrebbe capitarvi di cogliere un parolaio in flagrante dissolutezza di pensiero e di linguaggio: un chiacchierone che dal «detto ciò» si incasini con il «percorso» psicologico e concluda con la «consapevolezza» del niente. Nel caso, segnalatelo al Guinness dei primati.
di Cesare Lanza, LaVerità