di Cesare Lanza
Scommettiamo che l’amicizia, il sentimento più nobile, se è autentica, resiste a equivoci, contrasti e litigi? Chissà quante volte vi è successo, amici miei. E anche a me: una volta con Lucio Presta, l’agente televisivo più importante. Avevo torto: lo coinvolsi in una polemica in cui non c’entrava. Mi scusai. In questi giorni con Massimo Fini, l’intellettuale, scrittore e giornalista più irriducibile, controcorrente con cui abbia avuto a che fare. Mi aveva insultato per uno scritto che non mi apparteneva e si è scusato lui. Mi è arrivata questa lettera, indirizzata a Maurizio Belpietro: «Caro direttore, ho letto il ritrattino che Cesare Lanza mi ha dedicato sulla Verità del 4 gennaio. Mi ci ritrovo. Il narcisismo, su cui Lanza punta il dito, è uno dei miei principali vizi (ne ho anche molti altri). Mi spiace solo che Cesare Lanza non abbia preso per buone le mie scuse per un incidente da me provocato. È un calabrese e, come tutti i calabresi, molto rancoroso. Considero Cesare Lanza uno dei talenti (e uno scopritore di talenti) emarginato per imperscrutabili motivi. Io, che non sono calabrese, gli rinnovo la stima e l’affetto che ci hanno legati per tanti anni. Ps: grato se vorrai pubblicare questa lettera o/e farla avere a Lanza». Aggiungo solo due annotazioni. La prima è che, con tutto ciò che si vede in giro, la vanità di Massimo Fini e la permalosità mia mi sembrano peccatucci veniali. Chiedo ai lettori un’assoluzione totale. La seconda: sono felice davvero di aver ritrovato Massimo,
amico fin dagli anni Settanta. Deploro la mia dabbenaggine per aver rischiato di perderlo per futili motivi. E consiglio a tutti di evitare la mia (e sua) impulsiva superficialità nell’attaccare briga.
Cesare Lanza, La Verità