Il finanziere di origine ungherese aveva previsto che l’elezione del miliardario newyorkese avrebbe provocato un crollo in Borsa e aveva investito in questo senso. Ma dall’8 novembre il Dow Jones ha guadagnato circa il 9%
Non è la prima volta che sbaglia una puntata speculativa. Ma questa gli deve bruciare più di ogni altra scommessa perduta. Perché alla perdita in conto capitale si aggiunge l’umiliazione politica. George Soros ha investito in una gigantesca operazione ribassista, subito dopo la vittoria di Donald Trump l’8 novembre scorso. Il celebre finanziere americano di origine ungherese aveva previsto che l’inattesa elezione di Trump avrebbe provocato un crollo in Borsa. Sbagliato. E il conto è salato: un miliardo di dollari andato in fumo.
Contrariamente a quanto si aspettava Soros, Wall Street ha salutato il risultato elettorale con un prolungato rialzo, il Dow Jones ha guadagnato circa il 9% dall’8 novembre. Anche se per la verità il boom di Borsa si sta afflosciando da qualche giorno, e la mitica quota 20.000 punti del Dow Jones ancora non è stata raggiunta, nel frattempo la maxi-perdita di Soros si è materializzata. Un “buco” da un miliardo è pesante anche per lui, benché sia uno degli uomini più ricchi d’America (a quota 25 miliardi di dollari, il suo patrimonio ne fa uno dei primi 30 Paperoni mondiali) e si aggiunge al fatto che Soros aveva sostenuto Hillary Clinton, anche con il portafoglio.
Soros è da sempre il simbolo dei “miliardari di sinistra”, la sua fondazione filantropica sostiene diverse cause progressiste in America e all’estero: in particolare nell’Europa dell’est dove i suoi appoggi a varie “rivoluzioni arancioni” ne hanno fatto un nemico giurato di Vladimir Putin. Soros lasciò l’Ungheria da adolescente nel marzo 1944 fuggendo l’occupazione nazista. Studiò con il filosofo Karl Popper alla London University of Economics.
La sua impresa finanziaria più celebre resta un’altra speculazione ribassista: quella contro la sterlina inglese, quando lui contribuì a provocare la maxi-svalutazione del 1992. Questa volta invece Soros è stato vittima della “sindrome Brexit“: prigioniero anche lui della convinzione che le vittorie populiste affondano i mercati. Non sempre è così. O almeno non subito.
Federico Rampini, La Reubblica