di Cesare Lanza
Scommettiamo che in medicina presto ci sarà qualche iniziativa per rilanciare là figura e l’importanza dei grandi clinici? Vi spiego: appartengo a una famiglia di medici. In tutto quattro, tre sono defunti: due ginecologi e un endocrinologo, un maestro apprezzato in mezzo mondo. L’ultimo, insigne chirurgo, non a caso ancora vivo, ha ormai 94 anni ed è quello che ha pensato non solo alla salute degli altri, ma anche alla propria, in primo luogo con un’intelligente dieta (purtroppo per me, non è mai riuscito a convincermi).
Sono cresciuto in un ambiente in cui si parlava di continuo di clinica medica e qualcosa ho imparato: fui il primo a ipotizzare un tumore, che aveva aggredito mio padre, osservando il colorito cinereo del suo viso. E ho nostalgia di quei grandi clinici che ti guardavano in faccia e ti dicevano, se c’erano, i problemi della tua salute. Oggi non esistono più, si rivedono solo in certi vecchi film! La prima visita potrebbe essere affidata a un qualsiasi impiegato. Dettagli da scrivere sulle tue malattie passate, e subito l’ordine di sottoporti a una cinquantina di analisi, sangue, urine e feci. Perché? Mancanza di preparazione? O via libera alla feroce industria farmaceutica? Non credo (o spero?) che sia una strada senza ritorno. C’è qualcosa che non mi convince. Paura di commettere errori, di cause giudiziarie, di risarcimenti? Molti medici (con confidenze riservate) sono perplessi. Davvero c’è sempre bisogno di analisi in quantità industriale, prima di formulare una diagnosi?
Cesare Lanza, La Verità