Le difficoltà degli indipendentisti dopo la vittoria: il 12 per cento del nuovo Parlamento è incriminato dalla giustizia spagnola
L’indipendentismo che recupera il governo e Mariano Rajoy ultimo. La sintesi basta per far sorridere i secessionisti, dopo mesi durissimi. Niente feste vere e proprie a Barcellona, troppe le difficoltà da affrontare e i guai da risolvere, primo fra tutti quello degli eletti ancora in carcere o all’estero in fuga dalla giustizia.
Il più soddisfatto infatti non è in Catalogna, l’ex presidente Carles Puigdemont da Bruxelles dove si trova in quello che chiama “esilio”, forte di un gran risultato elettorale offre un appuntamento al nemico: “Propongo un incontro a Rajoy senza condizioni, vediamoci ma fuori dal territorio spagnolo”. Puigdemont è ricercato dalla giustizia, senza mandato di cattura internazionale, ma con la certezza che una volta varcati i confini la polizia scatterebbero le manette. Il capolista di Junts per Catalunya, la nuova sigla dei nazionalisti catalani, non pensa quindi di tornare e parla di “disfatta della ricetta di Rajoy. “Adesso è il momento della politica e non della repressione – aggiunge – Chiediamo solo di essere ascoltati”. Il programma di Puigdemont non è chiaro, che fine farà il processo indipendentista? Il blocco che chiede l’addio alla Spagna ha la maggioranza per governare ancora questa regione, ma per il momento il tutto si risolve in una richiesta: “Torni il governo legittimo”, ovvero quello fatto fuori dalla Spagna con l’applicazione dell’articolo 155 della costituzione.
Rajoy è il grande sconfitto delle elezioni che lui stesso ha convocato sperando di sconfiggere gli indipendentisti. I colpi ricevuti ieri sono due: il consolidamento dei separatisti e il trionfo dei centristi di Ciudadanos che hanno fatto il pieno di voti all’interno del blocco unionista. Il premier subisce critiche da tutti i lati, la sinistra lo accusa di non aver ascoltato per troppo tempo le richieste dei catalani e la destra gli imputa, al contrario, una debolezza eccessiva con i “golpisti”. A metà mattina l’annuncio delle prime crepe: lo storico capo di gabinetto Jorge Moraga lascia il governo e va a fare l’ambasciatore spagnolo all’Onu. “Avevo deciso da un anno” spiega, ma il giorno è tale che nessuno pensa a una coincidenza.
Incriminato il 12% del parlamento
Il 12,6% dei membri del nuovo parlamento catalano (17 deputati su 135) è incriminato dalla giustizia spagnola, tre neo-onorevoli sono in carcere e tre in esilio inseguiti da mandato di arresto. Tutti sono accusati di “ribellione” per avere portato avanti pacificamente il progetto politico dell’indipendenza e rischiano 30 anni di carcere. Il più autorevole candidato alla presidenza catalana Carles Puigdemont è “in esilio” in Belgio, il probabile vicepresidente Oriol Junquerqas è in carcere a Madrid. Il Tribunale Supremo spagnolo ha dichiarato indagati per presunta ribellione altri dirigenti catalani fra cui l’ex-presidente Artur Mas e le dirigenti di Erc Marta Rovira, PdeCat Marta Pascal e Cup Anna Gabriel. Per lo stesso presunto reato sono già incriminati il president Carles Puigdemont, i membri del suo governo e la presidente del Parlament Carme Forcadell. Rischiano 30 ani di carcere per avere portato avanti il progetto politico dell’indipendenza.
Francesco Olivo, La Stampa