Fisico e pioniere della ricerca scientifica, si è spento a 77 anni: è stato l’ideatore dell’interferometro di Cascina. Ha contribuito alla scoperta che ha portato al Premio Nobel
“ADALBERTO era una di quelle persone capaci di spendere la vita dietro a un’idea, perché sa che è giusta anche se agli altri sembra folle”. Adalberto è Adalberto Giazotto, amatissimo padre della comunità di fisici italiani che oggi osserva le onde gravitazionali dell’Universo, e il ricordo, commosso e grato, è di Fernando Ferroni, presidente dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (Infn). Giazotto è mancato stanotte a Pisa, all’età di 77 anni, dopo aver visto la sua idea diventare una nuova astronomia: “E in un certo senso possiamo dire che è stato fortunato, perché il nostro interferometro Virgo lo ha visto funzionare davvero e lo ha visto rivelare lo scontro tra due stelle di neutroni pochi mese fa”.
Il grande merito di Adalberto Giazotto, quello per cui si dice senza troppa retorica, che “è già nei libri di storia”, è stato quello di interessarsi fin dagli anni ottanta alla ricerca delle onde gravitazionali. Queste sono increspature minime dello spaziotempo prodotte nel cosmo da eventi importanti (lo scontro tra due stelle di neutroni, appunto, o la fusione di due buchi neri), ed erano state ipotizzate nel 1916 da Albert Einstein come diretta conseguenza della propria teoria della Relatività Generale. Ma allora nessuno le aveva mai viste. Intanto in America si stava cominciando l’impresa della costruzione degli interferometri laser che poi diventeranno l’esperimento Ligo. E Giazotto, assieme al francese Alain Brillet, riuscì a convincere i colleghi che era possibile costruire un analogo esperimento europeo, che diventerà l’interferometro Virgo: il grande rivelatore nelle campagne del pisano dove due anni fa abbiamo visto festeggiare i fisici di mezzo mondo, e gli italiani tra tutti, per la rilevazione delle prime onde gravitazionali.
“Soprattutto”, prosegue Ferroni, “Giazotto ebbe un’intuizione chiave: è stato il primo a capire che bisognava cercare segnali a frequenze basse, 50-100 Hz. E non a 2 KHz, come facevano gli americani, che non avrebbero visto nemmeno l’esplosione di una supernova sotto casa”. Cioè: Giazotto, intuì prima di tutti, esattamente dove andassero cercate le onde gravitazionali, e capì anche come essere certi di rivelare proprio loro, grazie alla progettazione di sospensioni finissime che proteggono il rivelatore di Virgo e gli permettono di pulire i segnali dalle vibrazioni del suolo (per esempio per piccoli terremoti). “Beh, anche questo dobbiamo oggi ricordarlo”, continua Ferroni, “all’epoca in pochi ci credevano davvero. Lui è riuscito a coinvolgere una banda di giovani scienziati e un ambiente che non era esattamente quello di raffinati costruttori di specchi. Insomma: l’Infn allora faceva tutt’altro e quella era un’impresa molto speciale ma rischiosa!”.
Giazotto riuscì a convincere tutti anche grazie alla sua eleganza e cultura: “Era un uomo davvero straordinario, un vero signore”, ricorda ancora Ferroni, e tutto l’Infn con lui. “Un signore appassionato di geologia e di musica, figlio del musicologo Remo che fu autore, tra le altre cose, dell’adagio per archi e organo che oggi va sotto il nome di Adagio di Albinoni (ma che sarebbe, più propriamente, di Giazotto – Albinoni)”.
La rivelazione delle onde gravitazionali si è meritata il Nobel per la Fisica di quest’anno, un Nobel che (davvero fuor di polemiche) la comunità dei fisici impegnata da decenni in questo lavoro sente un premio collettivo. “Ma credo che per Adalberto il vero premio sia stato veder nascere una nuova astronomia”, chiosa Ferroni. E forse anche, si legge oggi nei tanti ricordi scritti su Facebook da chi ci ha lavorato e lo ha conosciuto bene, il premio di veder nascere una nuova generazione di fisici. Tra questi c’è Giovanni Losurdo, dell’Infn di Pisa e oggi project leader di Advanced Virgo,m che lo ricorda così: “Era un entusiasta, affascinato dai misteri della natura e dalla capacità dell’uomo di fare cose straordinarie, dalle equazioni di Einstein alla musica di Beethoven. Oggi, accanto alla tristezza, proviamo un sentimento di profonda gratitudine”.
Silvia Bencivelli, Repubblica.it