Con il Rosatellum le coalizioni sono degli ologrammi: scompariranno dopo il voto. Francesco Verderami. Corsera. Il ministro Delrio, in sciopero della fame pro migranti, è stato avvistato alla sagra del tartufo. Ius sola. Il Giornale. Il Nobel per l’economia a Richard Thaler, che lanciò la teoria del pungolo. Per l’inventore della spintarella invece niente. Antonio Satta. MF. Qualcuno ha capito cosa voglia fare da grande Pisapia? Jena. La Stampa. Ius soli, digiuna anche Renzo Piano. Salterà il pesto una volta la settimana. Il Giornale. Pisapia si illude se pensa che gli basti dire di no a D’Alema sui giornali per toglierselo di torno. Monica Guerzoni. Corsera. Berlusconi mi ha invitato due volte ad Arcore, ma io e lui non abbiamo mai avuto un grande feeling. Io ero democristiano mentre lui, quando serviva, diceva che aveva due zie suore. Bruno Tabacci, braccio destro di Pisapia. la Repubblica. Quindici anni fa si parlava di modello Roma e si diceva che all’Italia manca Milano. Ora la rappresentazione è capovolta: Roma è in crisi, Milano è additata come esempio. Certo, Milano ha colto l’occasione dell’Expo, mentre Roma ha dato un calcio a quella delle Olimpiadi. Ma non è tutto lì. Aldo Cazzullo. Corsera. Si sono definitivamente consumate le illusioni (che c’erano nei primi decenni dell’età repubblicana) di poter un giorno azzerare il divario fra Nord e Sud (un terzo del territorio nazionale), di risolvere la questione meridionale. Nessuno ci crede più. Pensare che questa fine delle illusioni non abbia conseguenze destabilizzanti, che il Sud non alimenterà forme di rancoroso ribellismo, è sbagliato. Angelo Panebianco, Corsera. Pare, e questo sarebbe il paradosso più stravagante, che il governo intenda accompagnare il Codice Antimafia, o farlo seguire, da una sorta di ordine del giorno interpretativo, che ne definirebbe, limitandola, l’estensione. Sarebbe l’ennesimo esempio di un’attitudine ondivaga e scombinata, che ha aumentato la confusione e ridotto la garanzie, sfasciando definitivamente quanto resta del codice del professor Vassalli. Il quale, dall’alto dei cieli, sarà tentato di restituire la sua medaglia di partigiano, visto che questo Stato, che continua a mantenere il codice penale di Mussolini, sta invece violentando la sua creatura. Carlo Nordio, già procuratore di Venezia. Il Gazzettino. Ciò che non perdono ai populisti è la cialtroneria. E ciò che auspico per loro è un po’ di studio supplementare. Anche perché questi «nuovi» politici cambiano discorso a seconda della platea: agli israeliani dicono una cosa, ai palestinesi un’altra. Ma non funziona così, le bugie hanno le gambe corte. Pier Ferdinando Casini, presidente Commissione esteri del Senato (Massimo Rebotti). Corsera. Cacciari ha fatto cose giuste, ma non è riuscito a fermare il Mose: un’opera pensata solo per rubare. In America a quelli del Mose avrebbero dato l’ergastolo. Come a quelli della Popolare di Vicenza. Arrigo Cipriani, il re dell’Harry’s Bar di Venezia (Aldo Cazzullo). Corsera. Questo mio romanzo è ambientato nel 1937, durante la guerra civile spagnola che, di solito, viene descritta come militari cattivi contro popolo buono. È, questa, la visione manichea, corrente, ma naturalmente le cose sono più sfumate e complesse di così. Arturo PerézReverte. Il codice dello scorpione. Rizzoli, 2017. Se si vuole semplifi care, si potrebbe dire che Gioanbrerafuearlo (così da un certo punto della sua carriera aveva cominciato a definirsi Gianni Brera, in ricordo delle sue origini, il padre, la famiglia) aveva un indomabile caratteraccio. La prova definitiva è la rottura con lo scrittore Giovanni Arpino. Per lunghi anni Brera aveva scritto di adorarlo, lo definiva il suo Nobel personale. Qualcuno aveva deciso di utilizzare Arpino come opinionista di calcio e Gioan lo privilegiava con benevolenza insolita, ricambiata. Poi, a un certo punto, la rottura e non si sa perché: i due cominciarono a scambiarsi cocenti offese. C’è chi sostiene che Arpino si fosse sottratto al paternalismo ingombrante di Brera, il quale in particolare non avrebbe gradito il passaggio dello scrittore alla Stampa, considerandolo un asservimento alla dominante famiglia Agnelli. Ma probabilmente c’erano state ruggini precedenti. Cesare Lanza ( La Verità ). Dico che sono un campione di pesca d’altura, spada giganteschi, Scilla e Cariddi, faccio tre viaggi caraibici all’anno, tengo lezioni di diritto umano all’università dell’Havana, ho una moglie, ex miss Venezuela, laureata in filosofia e marketing, oggi impegnata come consulente all’Onu, che mi ha dato tre meravigliosi pargoli con i capelli biondi. Ecco quello che dico a questa gente pericolosa… anche se vorrei suicidarmi con le pizzette del bar Nazionale, che mangio come un’idrovora idiota, succhiando tris di bollicine al bancone, di fi anco ai cocainomani di mia conoscenza. Francesco Maino, Cartongesso. Einaudi, 2014. Perché gli ebrei hanno un naso grande? Perché l’aria è gratuita. Marc- Alain Ouaknin, La Bible de l’humour juif. Ramsay, 1995. Il critico d’opera ha conosciuto Karajan e la Callas. Ha il gusto sicuro e l’orecchio assoluto. Certe sere delle prime non esita ad aggiungersi ai sobillatori o ai turiferari per esprimere la sua profonda disapprovazione o il suo entusiasmo. Egli è capace di canticchiare le grandi arie della Traviata e, quando assiste a un concerto, pianotta sulle sue ginocchia con lo stesso tempo del solista. Philippe Bouvard, Je crois me souvenir… J’ai lu. Flammarion, 2013. Paolo Rossi diceva che le ragazze mi lanciavano reggiseni e catenine. È vero. Mi tiravano l’oro come se fossi un santo. Un pomeriggio a Campobasso, nei 50 metri tra il pullman della Juve e l’albergo, mi hanno levato quasi tutti i vestiti di dosso, ci saranno state 3 mila persone. Le donne lanciavano pure gli slip. A terra c’erano manciate d’oro. Antonio Cabrini, ex calciatore (Maurizio Crosetti). la Repubblica. Gli alpini anche una volta rimasti, a causa della situazione, privi dei loro mezzi più potenti, non si sarebbero scoraggiati. Non vogliamo idealizzarli, ma ci sembra di poter affermare che nell’attuale civiltà della materia e delle macchine, questa gente costituiva una grande eccezione. Perfi no quando gli capitava di essere sconfitti, essi, in cuor loro (a motivo del dovere compiuto), non si sentivano propriamente tali; d’altra parte, sconfiggerli, era molto difficile. Eugenio Corti, Il cavallo rosso. Edizioni Ares, 1983. Nelle feste comandate, con tutta la loro retorica, non mi sento affatto più buono, ma solo più ipocrita. Roberto Gervaso.
Il Messaggero