Da Morningstar a Jp Morgan, gli esperti giudicano molto alti i rischi di investire Nel dragone. E persino le azioni che garantiscono performance superiori al 23% da inizio anno restano una nicchia nel portafoglio globale
Shanghai. Quattro negozi cinesi di abbigliamento sulla stessa via che chiudono i battenti nell’arco di un week-end; biciclette condivise “in sharing” parcheggiate in tutti gli angoli; Qrcode per i pagamenti via smartphone esposti nei chioschi più periferici; carte di credito occidentali rifiutate dai ristoranti internazionali del centro. Shanghai è lo specchio delle contraddizioni della Cina. Il paese convive con il passato più remoto mentre è proiettato verso il futuro.
Paradossi che fanno sì che il mondo occidentale abbia ancora tanta diffidenza verso il Dragone. .La paura di investire, di fare business in quel gigantesco mercato persiste.
Eppure si è sempre più spinti verso il Dragone. «La Cina conta per il 30% della crescita globale, tutte le multinazionali e le grandi corporate hanno interesse in Cina e la business community globale non p uò ignorare le trasformazioni e la specifità di questo grane mercato», scrive in un suo intervento David Gosset, fondatore di Academia sinica europeae al Ceibs di Shanghai. Gosset è convinto che il prossimo congresso del Partito comunista, il 19mo, di metà ottobre, rappresenterà una pietra miliare nel piano di riforme del presidente Xi Jinping.
Ma intanto gli investiori restano cauti. «La Tigre corre, resta uno dei motori principali della crescita non solo delle regioni emergenti ma anche dell’economia globale tuttavia è un asset di investimento che va toccato sempre con le molle» scrivono Nimalen Govendor e Vesna Peroska, portfolio manager di Morningstar investment management. . L’azionario cinese ha fatto registrare un progresso del 17,1% da gennaio, canto delle sirene per money manager a caccia di performance in un mercato a tassi piatti. Jp Morgan Funds-China ffuna D Eurt, per esempio, in un mese ha guadagnato il 2,74% portando a +23,9% le perfomance da inizio d’anno. Un risultato ottenuto con una selezione accurata delle imprese, competitive, con modelli di business robusti e alte barriere d’ingresso ai nuovi concorrenti. Ma, soprattutto, questo investimento, nonostante i rendimenti, è stato consigliato solo come elemento di nicchia all’interno di un portafoglio diversificato. La buona gestione delle aziende è un elemento discutibile, ci sono preoccupazioni anche per la tenuta finanziaria dei bilanci, per la poca liquidità di molti titoli e per il quadro geopolitico. Insomma, i rischi restano più alti delle opportunità.
Rischi su più fronti. Prendiamo i rapporti con gli imprenditori locali. Ancora solo fino al 2009, Yu Hua, uno dei più influenti scrittori contemporanei, raccontava di diffusi casi di soprusi e pestaggi improvvisi da parte dei soci cinesi che improvvisamente decidono di prendere il sopravvento sul socio estero. Nel frattempo la legge è cambiata, non è più necessario avere un socio locale per aprire un’impresa. Ma, comunque bisogna, rapportarsi a fornitori, acquirenti: «Il business va a gonfie vele, il mio problema è farmi pagare, in qualche caso devo aspettare anche un anno», racconta Jacopo Cordero, titolare con la moglie Fei di Shangi Huijingzhong Yishuping co, società specializzata nella creazione e vendita di tessuti fantasia per gli arredamenti di interni. Pagano tardi, qualche volta non pagano proprio: «Un mio cliente mi deve molti soldi, ma la finanza gli ha bloccato i conti e ora non più pagare. Molti imprenditori si fanno ammaliare dalla Borsa e finiscono gambe all’aria», incalza Cordero. In agguato ci sono anche i falsi acquirenti: «Attenzione alle proposte di contratto che spuntano dal nulla», avverte Carlo Geremia, solicitor e advisor di Nctm, banca d’affari specializzata nel guidare per mano imprenditori stranieri in Cina. Spiega Geremia: «Diffidare di chi non negozia il contratto ma insiste soltanto sulla presenza di persona in sede per la firma o sul preventivo pagamento di spese di notaio, dietro si nasconde sicuramente una truffa».
Il principale fattore di instabilità è il forte controllo del Partito Comunista sulle imprese, sia pubbliche che private, e sui regolatori del mercato, come la Csrc, China security regulatory Commission, la Consob cinese. Teste che cadono dalla notte al giorno non danno fiducia al mercato.
«In alcuni casi la pressione politica dei regolatori di fatto riduce i rischi a breve termine per gli investitori», spiega Michael Hirson, Asia director di Eurasia Group. Spiega Hirson: «Nei mesi scorsi il regolatore ha ristretto il numero ammesso di Ipo per settimana: la ragione è che nuove azioni sul mercato potrebbero spingere i prezzi e loro vogliono prevenire questo inconveniente. D’altro canto, l’intervento pubblico aumenta i fattori di imprevedibilità e agli investitori, invece, piace giudicare i mercati su fattori economici e finanziari piuttosto che su obiettivi politici». Molte distorsioni di mercato sono state causate dal fatto che, per molti anni, solo le aziende statali erano ammesse in borsa, un modo per distogliere capitali dalle imprese più dinamiche verso quelle meno efficienti. «Questa situazione sta cambiando — afferma Hirson — la grande prossima riforma è muovere all’attuale sistema, nel quale il governo approva le Ipo, verso un altro dove le compagnie che si stanno quotando devono solo registrarsi. Una riforma dibattuta da tempo che dovrebbe effettivamente attuarsi nel prossimo anno».
Paola Jadeluca, Repubblica.it