Dopo i ristoranti, le cantine. Dopo i gran piatti e le pietanze degli chef, i grandi vini e i loro grandi produttori. L’impero editorial-gastronomico del Gruppo Michelin basato sul famoso Libro Rosso, la Guida che da oltre un secolo (da quando, nel 1896, il fondatore della fabbrica di pneumatici, André Michelin, ebbe l’idea di fare una graduatoria dei ristoranti francesi e di mettere insieme mobilità e cucina) assegna le sue mitiche stelle ai locali di tutto il mondo (l’Italia, detto tra parentesi, ne ha 334, seconda dopo la Francia), fa un altro passo avanti verso il monopolio dell’informazione di settore e si compra l’altrettanto mitica Guida dei vini di Robert Parker, il critico enologico più conosciuto, più amato e più criticato al mondo (a seconda delle votazioni assegnate ogni anno a più di 40 mila vini).
Non si conosce il valore dell’operazione perché sia i francesi di Michelin sia il settantenne giornalista e uomo d’affari americano (è più corretto definirlo così dopo un trentennio di onorata carriera) non hanno mai dato la benché minima informazione sul valore economico delle loro aziende che negli ultimi trent’anni, da quando è scoppiato il boom del cibo (basti solo dire che alla voce «food» il motore di ricerca di Google registra più di 50 milioni di richieste al mese), sono diventate quelle che si definiscono con una sola immagine: galline dalle uova d’oro.
Parker, che di vino ci capisce molto (nonostante i suoi numerosi detrattori che ancora non riescono a spiegarsi perché definì l’annata del Bordeaux 1982 «superba» mentre era appena accettabile), ma non è ignaro di business e di conti economici, già qualche anno fa aveva venduto una «minority», una serie di quote di minoranza della sua azienda editoriale cui fa capo il sito www.robertparker.com che recensisce il meglio dell’enologia mondiale e assegna voti espressi in centesimi (e nessuno capisce che differenza ci sia tra un vino con 98,5 punti e un altro con 99), ad alcuni fondi d’investimento di Singapore.
Ora ha deciso di monetizzare il suo ultimo 40% vendendolo ai francesi di Michelin. Ovviamente non si ritira, perché sono lui e la sua squadra (dal capo redattore operativo, cioè quello che fa tutto, Lina Perotti Brown, al responsabile dei due mercati-chiave, la Francia e l’Italia, Antonio Galloni, un ex banker di Deutsche Bank convertitosi al vino) il vero «asset» della Robert Parker Wine Advocate, che è il nome suggestivo (avvocato del vino) che il giovanotto di Baltimora diede, nel lontanissimo 1978, alla prima «newsletter» spedita a 600 abbonati, in gran parte importatori americani di vino francese.
Da quella «newsletter» che oggi ha 50 mila abbonati è nato un impero editoriale in grado di condizionare – detto senza polemica – case vinicole, strategie commerciali, consumi, fatturati. Per questo Robert Parker, come si diceva prima, è un critico enologico diverso da tutti gli altri, da James Suckling del Wine Spectator, la vera Bibbia del vino, al nostro Daniele Cernilli, l’inventore dei «tre bicchieri» del Gambero Rosso, forse il più bravo tra gli italiani.
Parker è stato sempre, dicono i suoi detrattori, troppo sensibile alle ragioni della «wine industry» mondiale. Se non avesse fatto così, non avrebbe creato un’impresa tale da far gola a un colosso come Michelin. Che ora, grazie a lui, può divertirsi a dare le sue stelle anche ai vini di tutto il mondo.
Italia Oggi