Il suo mentore Maurice Levy, a 75 anni, va in pensione
Se le tradizioni e le regole della casa saranno rispettate il nuovo capo potrebbe restare alla guida di Publicis, terzo gruppo mondiale della comunicazione pubblicitaria con quasi dieci miliardi di fatturato, per altri trent’anni.
Come il Big Boss che l’ha preceduto e da cui ha imparato tutto, quel Maurice Levy, l’uomo che ha trasformato in un gigante l’aziendina fondata nel lontano 1926, preistoria pubblicitaria, da un «poulbot du Faubourg Montmartre», un monello del popolare quartiere di Montmartre, Marcel Bleustein-Blanchet, figlio di un mobiliere che per piazzare i mobili costruiti dal padre aveva capito, già allora, quanto fosse importante la «réclame».
E come lo stesso Marcel, il fondatore, che ha consegnato la sua creatura all’amato Maurice nel 1987, quando Publicis era già grande e l’unica sua erede, la figlia Elisabeth Badinter (dal nome del marito), poteva guardare il futuro (suo e dell’azienda) con assoluta tranquillità.
Il terzo Big Boss di Publicis, che solo per un caso sfortunato (il fallito matrimonio, tre anni fa, con l’americana Omnicom) non è riuscita a scalzare il leader assoluto, l’eterno rivale britannico Wpp, si insedia domani, giovedì 1° giugno, nella più grande delle multisale del gruppo, all’inizio degli Champs Elysées, proprio all’angolo con l’immensa rotonda dell’Etoile.
E sarà un insediamento quasi «regale» con più di tremila top manager di tutto il mondo (su 80 mila dipendenti) convocati a Parigi per assistere alla presa di potere di King Arthur (o le Roi Arthur, come lo definiscono i giornali), Arthur Sadoun, l’allievo prediletto di Maurice, «le seducteur» (copyright Le Monde, per la sua capacità, indispensabile per un manager pubblicitario che si rispetti, di sedurre i clienti, soprattutto quelli con budget a nove zeri), il gigante (è alto un metro e 97) a cui il suo mentore, monsieur Levy, a 75 anni, ha consegnato i segreti e le chiavi del gruppo (oltre al suo poderoso «carnet d’addresse»).
Arthur Sadoun, domani, nella grande multisala Publicis nel cuore di Parigi, non parlerà a lungo, ma darà prova ancora una volta del suo «charisme naturel» e della sua «énergie débordante», per dirla con le parole estasiate di Valerie Hénaff, la donna che Arthur ha reclutato una ventina d’anni fa dalla Tbwa e che è diventata «le cerveau droit», il cervello del gruppo.
L’altra è Agathe Bousquet, manager storica di Havas, che ha preferito Arthur a Jannick (Bolloré, pdg dell’agenzia che si prepara a entrare nell’universo Vivendi).
Ma oltre alle qualità innate, che tutti gli riconoscono, Arthur ha anche una caratteristica non secondaria per far carriera qui in Francia: è nato bene (da una famiglia ebrea sefardita in Algeria), ha frequentato buone scuole (la prestigiosissima Scuola Alsaziana del 16° arrondissement), ha avuto belle amicizie e genitori (il padre, Roland, ha combattuto nella Resistenza con De Gaulle ed è stato direttore generale dell’Ifop, la Doxa francese; il nonno materno, Ernest Cordier è stato il fondatore del colosso industriale Thomson) che l’hanno sempre seguito e sostenuto anche quando, giovanotto, appena laureato, si era trasferito in Cile e lì si era inventato il suo primo business commerciale: faceva arrivare dalla Francia stock di vestiti invenduti della griffe Kookai e li rivendeva a dieci volte il prezzo.
Tornato in patria, nel 1997, Arthur s’iscrive all’Insead di Fontainebleau, la più importante business school di Francia, e qui ha la fortuna di incontrare il figlio di Jean-Marie Dru, all’epoca responsabile di Tbwa France. È il compagno di corso che gli apre la strada per l’agenzia americana, di cui prenderà la guida cinque anni dopo, e a dare, quindi, una svolta alla sua carriera.
Ma, al momento giusto, è sua madre, la signora Arlette Sadoun, a segnalare Arthur alla sua cara amica Elisabeth Banditer, l’ereditiera di Publicis, mentre papà Roland, un’autorità nel campo nel mercato dei sondaggi con la sua Ifop, si affrettava a inviare il curriculum del figlio all’amico Maurice Levy.
Le Roi de la Pub, il re della pubblicità, non conosce ancora il giovane dirigente della Tbwa France e prima di decidere consulta i suoi grandi clienti, come Jean-Paul Agon, il patron di L’Oreal. Il giudizio è positivo. Arthur, che non è più un giovanotto di belle speranze ma un manager pubblicitario con certa notorietà sulla piazza parigina, può così traslocare a Publicis. E cominciare la sua travolgente carriera.
E siccome è anche un uomo spiritoso (oltre che fortunato), ha sistemato nel suo ufficio un vecchio seggiolino di un aereo da caccia, quelli che espellono il pilota al momento del pericolo, recuperato chissà come al mercato delle pulci di Saint Ouen.
Il messaggio è tutt’altro che subliminale: se si sbaglia manovra e si va in stallo, come un aeroplano, chiunque alla Publicis può essere espulso. Anche Arthur, peût être, possibilmente.
Italia Oggi