di Cesare Lanza
La mondina sposò un conte e scandalizzò l’Italia per la storia con il pittore Guttuso. «Da bimba ero povera, mangiavo i topi. A mio fratello spettava la carne, a me il sugo»
Non rifiutava mai di rispondere a una domanda. Non c’era curiosità, per scabrosa che fosse, che potesse metterla in difficoltà. Anzi, a volte, rilanciava. E come si può definire Marta Marzotto? Di aggettivi, ce ne vorrebbero troppi. Era imprevedibile. Generosa, seduttiva, eclettica, ricca di energia, ottimista, positiva, coinvolgente, elegante. Bella, affascinante: ti faceva sentire importante, cercava le tue confidenze, ancor più ti regalava le sue, senza limite, parlando quasi a sé stessa, come se si mettesse nuda davanti a uno specchio, incurante di essere osservata. Impossibile non amarla e desiderarla. E lei ti dava la sensazione di essere amato, desiderato. Una personalità unica, imitatissima, ma inimitabile. Una volta mi misi in testa di strapparle la verità sugli amori della sua vita. Marta ha sempre sostenuto di aver amato solo 3 uomini: Umberto Marzotto, Renato Guttuso, Lucio Magri. Io non ci credevo e tuttora stento a crederci. La torturai con domande invasive, trappole, provocazioni. Lei era, divertita e senza il minimo fastidio, un muro insormontabile. Niente da fare! Tre, soltanto 3: li ha amati anche contemporaneamente, ma sempre, solo 3.
Alla fine, mi arresi. E Marta imprevedibile, no? – mi disse: «Ti regalerò una confidenza. Una cosa che non ho mai detto a nessuno. Per gran parte della mia vita ho amato un uomo senza riuscire mai a dirglielo. Avevo perso la testa per lui. Ed ero pronta a lasciare tutto, a seguirlo, a fare coppia». «Chi era?». «Pietro Ingrao». Non una parola di più. C’era stato un rapporto? No. Contatti, incontri? No. Un bacio rubato? Ma no, macché! E Ingrao ne sapeva qualcosa? No. Mi spinsi a chiederle, stremato, e all’epoca Marta aveva festeggiato i 70 anni: pensava di poter ancora realizzare il suo sogno, e comunque amava ancora Ingrao? Non saprei ricostruire il valzer di parole con cui Marta, impenetrabile, riuscì a non dirmi nulla. Il direttore del giornale per cui scrivevo si infiammò: bisognava andare da Ingrao, riferirgli, chiedere… Feci il mio dovere, ma sapevo l’esito. Il leader comunista, forse meravigliato e forse lusingato, rispose che non aveva nulla da dire, punto. L’ultima volta che ho incontrato Marta, nella sua casa di Milano, qualche settimana prima della morte, ebbi la cruda impressione che volesse fare il bilancio della sua vita, pronta ad aprirsi, ancor più di quanto facesse abitualmente. Ero con un amico, che la seguiva con gli occhi spalancati. Sedotto, ipnotizzato. Marta se la prendeva con i domestici, che non riuscivano a trovare al volo gli album delle foto.
Passava da un personaggio all’altro (era ritratta con tutti i grandi, da famiglie reali ai Kennedy fino a Barack Obama, Vladimir Putin, Fidel Castro…), evocava ricordi preziosi mentre io avvertivo un fondo di malinconia.
Ebbi un presentimento, benché Marta mi apparisse in ottima forma fisica, pensai chissà perché che forse era l’ultima volta che la vedevo (e così è stato). Le dissi di getto: «Marta, tu non sai quanto ti abbia desiderato… Ma non ho mai avuto il coraggio di farmi largo nella folla dei tuoi corteggiatori e di dirtelo, almeno questo. E sai perché? Perché ti ho sempre pensato come una creatura irraggiungibile. E avevo paura del rifiuto». Marta sorrise con l’abituale lievità e cambiò discorso. Di più, forse mi mandò un segnale, per sigillare la sua irraggiungibilità: mi fece uno stravagante regalo (era imprevedibile o no?). «Ho nascosto» e intanto sollecitava i domestici «le gigantografie di miei indimenticabili abbracci con Guttuso… Le vuoi? Ti piacciono? Te le regalo!». Le fotografie, 2, sono ora nel mio studio, in dimensioni gigantesche.
Ogni tanto le guardo, con struggimento. Qualche volta un visitatore le osserva e certo si chiede perché siano accanto ai miei libri e ai miei quadri. In una gigantografia Marta è abbracciata al pittore e sembra che dorma. Mi sento felice e triste che lei se ne sia andata, lasciandomi questa immagine della sua intimità.
Non fu il solo regalo, quel giorno. Volle anche regalarmi una sciarpa preziosa, confezionata a Londra da un suo amico stilista. E, generosa com’era, ne regalò un’altra al mio amico. Il giorno dopo, in treno, smarrii stupidamente la sciarpa e sperai che l’amico mi donasse la sua (ma non è andata così). Ricordo ancora che verso sera arrivò Marta Brivio Sforza, le due signore dovevano partecipare a non ricordo più quale evento. La Marta seconda era stata accolta dalla vera Marta come un’amica devota. Che tuttavia in seguito mi usò uno sgarbo futile, e io replicai, scrivendone con ruvidezza. La Marta seconda non si è mai scusata, tuttavia oggi penso che qualche qualità debba averla, se la Marta vera ne accettò la compagnia. I flussi dei ricordi mi portano inevitabilmente alla storia dei suoi 3 amori. Una storia romanzesca, degna di un Tolstoj di oggi. Marta ha amato con passione tutti e 3, e come ho detto per un periodo perfino contemporaneamente.
Dopo di loro, più nessuno: niente sesso, amicizie affettuose sì, che orrore l’idea del sesso con la dentiera sul comodino. «Con i miei 3 uomini ho volato, ora non mi va di camminare». II primo, Umberto, era il rampollo di una famiglia ricca. Questo aspetto di ricchezza e povertà va chiarito senza fraintendimenti.
Marta Marzotto esibiva collane di diamanti e con uguale disinvoltura andava a una prima della Scala con un abito da poche lire. Al matrimonio di Jaki Agnelli e Lavinia Borromeo si è presentata, nel racconto di Laura Laurenzi, «con uno dei suoi famosi abiti da 7 euro, linea vù cumprà, colore turchese». Lei non ha mai nascosto le sue origini misere, al contrario le raccontava con orgoglio. Lavorava come mondina, a casa sua si faceva la fame. Da bambina soffrì perché la mamma non le consentì di mangiare neanche un pezzetto di un topo cucinato per il fratello, ma solo di intingere il pane nel sughetto; un’altra volta ebbe in regalo un chilo di pane e con la mamma e una sorella se lo sbranarono in 5 minuti. «Ho un’anima vagabonda come quella di mio padre, un ferroviere, detesto la saggezza e le regole, a cominciare da quelle che mi sono data io…». Umberto, invaghito dalla sua bellezza e dallo stile schietto, la conquistò con un corteggiamento instancabile. «Vergine al matrimonio?» le chiesi una volta. «Al matrimonio no. Con Umberto sì: fummo fidanzati per 1 anno, prima di sposarci». Qualche maligno diceva che si era sposata per interesse. «Sciocchezze. Ho molto amato Umberto e ne sono stata molto ferita.» Dai tradimenti, che ha sopportato fino al momento in cui esplose la passione per Renato Guttuso. Se avesse voluto legare il marito, le sarebbe bastato un figlio, invece ne fecero 5: Paola, Annalisa, Vittorio Emanuele, Maria Diamante, Matteo.
Con Renato fu un colpo di fulmine. Il pittore, al momento dei saluti dopo un incontro, la baciò d’improvviso sulla bocca, e lei quasi svenne per l’emozione. Tante volte Marta mi ha spiegato che il bacio in bocca è il momento più delicato e profondo, intimo, dell’amore, impossibile baciare in bocca qualcuno, senza amore.
Si incontravano nella casa messa a disposizione da un gallerista, si prendevano davanti ai quadri di Picasso… Lui era geloso, passionale: le scriveva lettere, le dedicava i suoi quadri, la introdusse nel mondo romano di intellettuali, pittori, scrittori, politici. Infine, per 10 anni, ci fu Lucio Magri. «Diceva di amarmi, ma amava solo sé stesso, forse il legame vero era con Luciana Castellina». Tutti sapevano tutto, ciascuno dei 3 sapeva degli altri. Ma quando Guttuso morì, si accese un (ipocrita) scandalo. «Da 3 grandi amori sono passata in un giorno a vedova di tutti e 3». Umberto chiese il divorzio. Magri, timoroso delle conseguenze, sparì. Di Umberto Marta ha sempre parlato con dolcezza. Di Renato con nostalgia. Di Lucio Magri con amarezza e risentimento. «Sono stata l’unica persona di estrazione popolare che abbia frequentato. E voleva che la tavola fosse apparecchiata sfarzosamente, posate d’argento, e guai se non c’erano vini giusti, caviale, cibi raffinati e compatibili». Una volta, in aeroporto, lui addirittura finse di non vederla. «Gli diedi un colpetto sulla spalla e gli dissi: guarda, dovrei essere io a fingere di non vederti». Mai più incontrato. La vecchiaia non le è pesata. In un’intervista al nostro Stefano Lorenzetto disse che era interessante, tanto che se l’avesse saputo prima si sarebbe aumentata gli anni. Diceva di non essere mai stata felice, «non ne ho mai avuto il tempo». Il dolore più grande, la morte della seconda figlia, Annalisa, appena trentenne. Era nata ad Albinea (Reggio Emilia) il 24 febbraio 1931. Se n’è andata, a 85 anni, il 29 luglio 2016. Diceva di non credere in Dio, ma che forse il Paradiso esisteva, almeno per chi, come lei, si era tanto divertita.
Divorava con gusto l’esistenza, ha detto di lei Matteo, il suo ultimo figlio. La notizia della morte è stata data con un tweet dalla nipote, Beatrice Borromeo: «Addio nonita mia».
di Cesare Lanza, La Verità