di Ettore Martinelli
Avere necessità di contrarre un debito, comporta un impegno – anche morale – col creditore. Non essere in grado di estinguerlo può recare disagio all’esistenza quotidiana. Ciò non vale per le persone disoneste, che alcun valore conferiscono alla parola data e alla fiducia riposta in loro. Il dovuto, sino a quando permane, può coinvolgere persino chi non ne conosca l’esistenza, difatti i rapporti tra debitore e creditore coinvolgono soggetti terzi che hanno con loro legami, solitamente di parentela, giuridicamente rilevanti.
Un tempo la parola data, specie in ‘questioni di fiducia’, era un un valore non negoziabile, quanto l’impegno da onorare: ‘hai la mia parola’ era una frase che poneva fine al resto, ‘parola d’onore’. Non ritornare sulla parola scansava vergogna e pubblica gogna. Seppur in misura ridotta anche oggi disattendere agli impegni presi non passa inosservato, ma la società ha da tempo accantonato alcuni valori. Nei quartieri c’è spazio per furbetti che impunemente si arricchiscono, mutando aspetto tra un fallimento e una bancarotta fraudolenta, lasciando in mutande ingenui e creduloni. Se non si possiede codesta scellerata capacità camaleontica, il cittadino ‘per bene’ non trova pace.
Tutt’altra storia riguarda un altro debito, quello degli stati sovrani. Il singolo non ne era direttamente coinvolto nell’antichità. I sovrani usualmente accantonavano tesori per i bisogni straordinari; Salomone, i re di Persia, Alessandro il grande non si facevano trovare impreparati all’abbisogna. Ha del paradossale – per ovvi motivi d’attualità – scoprire che nella Roma Eterna la legge prescriveva l’assoluta impossibilità di contrarre debiti con altri stati, ed ai giudici comunque toccava di non riconoscere alcuna validità alle obbligazioni illegittimamente prese. Da ultimo, basti rammentare che nel Medioevo qualora i principi ricorressero al credito si obbligavano personalmente. Altri tempi.
La possibilità di ricorrere al debito pubblico, istituita in Italia nel 1861, riguardante collettività e singolo, non ha mai fatto arrossire come quello privato, al più un rosso d’intensità sempre meno marcata, dall’unità d’Italia ad oggi. Debito pubblico, agli occhi di chi lo contrae per ‘ragion di stato’, appare una sorta di astrazione. Formato da due parole che basta accostare per annullarne il significato e la reale portata. Come se, per magia, sottrarre alla parola ‘debito’ la parola ‘pubblico’ facesse sempre zero, forse per via del fatto che il creditore non bussi mai alla porta. A ben vedere si tratta di un artificioso trucco da bari, da se in grado di condannare i posteri.
Fra non molto tempo, alcuni non moriranno né per causa naturale, né per destino, ma per le conseguenze ovvie che l’esplosione del debito italiano produrrà. L’impossibilità di accendere crediti ulteriori da parte dello Stato, farà comparire sicari originali e mai visti. Gli ospedali saranno per solventi, le scuole aperte ai figli degli abbienti, l’edilizia pubblica crollerà con o senza terremoti e, in definitiva, lo scenario sarà apocalittico. Ebbene, che fare? La risposta è semplice e complessa allo stesso tempo. Se si conviene sul fatto che il debito pubblico italiano non debba diventare debito assassino, i mandanti dei sicari del domani, vanno fermati in tempo, sono tra coloro che governano ora. Il debito italiano non è sempre stato fuori controllo, è dagli inizi degli anni 70 che di anno in anno dal poter essere considerato di entità fisiologica al sistema socio – statuale, è divenuto la patologia sul futuro. Duemiladuecentocinquanta e rotti miliardi di euro, a cui ogni giorno si aggiungono 367 milioni. Basta è una vergogna da irresponsabili! Due strade, di certo non le sole, indica il buon senso: limitare drasticamente l’evasione fiscale che ogni anno sottrae più di 100 miliardi alle casse dei tributi e vendere parte del patrimonio statale, escludendo opere d’arte e ciò che lo stato, le regioni e gli enti locali non possono dismettere per ragioni di opportunità e strategia. Caserme in disuso, edifici di gran valore ma con destinazioni assurde, edifici abbandonati …. così, tanto per cominciare.
Lo stesso Matteo Renzi ha sostenuto che “La credibilità del risanamento finanziario è la premessa di ogni ragionamento sul rilancio dell’economia. Tale credibilità richiede un impegno continuo per la riduzione del debito pubblico’’. Purtroppo sono state parole affidate al vento ma van poste al primo punto dell’agenda di qualsiasi governo. Sinora, sollevare e dare concretezza al problema del debito pubblico accumulato, non è stata un’urgenza a cui prestare attenzione, perché impopolare. L’ansia del debitore onesto di cui s’è detto, si trasforma in ansia collettiva dinnanzi ai numeri dell’indebitamento statale. Mina la voglia di investire e di impegnarsi, negando ogni sviluppo e ripresa economica.
Non possiamo più attendere per rimediare al futuro drammatico che spetterà alle prossime generazioni. Occorre pretendere un immediato abbattimento del debito pubblico, vendendo il vendibile e mandando in galera gli evasori: chi evade non è un furbo alla Totò, non fa ridere, è tra i mandanti del debito assassino che dobbiamo bloccare.
Ettore Martinelli, La Verità