«Gruppi goliardici, trash, al limite della demenza, ma di certo non connotati da violenza». Si difende così Raffaele Sollecito, i cui commenti sul gruppo Facebook privato «Pastorizia never dies» sono stati attaccati e criticati da Selvaggia Lucarelli sul Fatto Quotidiano. A leggere quelli riportati dalla Lucarelli i suoi commenti si possono invece definire tutt’altro che goliardici ma piuttosto offensivi, misogini, razzisti. Ad alcuni utenti risponde con consigli su come far fuori la ex, ad altri su come non finire sul banco degli imputati (dove lui invece è finito per l’omicidio di Meredith Kercher, processo poi terminato con la sua assoluzione davanti alla Cassazione). Ad altri contenuti ancora, come fotomontaggi volgari, si limita a commentare con alcuni smiley. Lui però, contattato dall’agenzia ANSA, si difende spiegando che «ho fatto solo battute su quanto successo a me stesso in quella vicenda» e sottolineando che si tratta di gruppi «pieni di donne» e «tutt’altro che ispirati alla violenza». Mentre Selvaggia Lucarelli fa notare che quando qualcuno ha provato ad intervenire osservando timidamente che l’umorismo di Sollecito non gli piaceva è stato cacciato dal gruppo. Del resto si tratta di un gruppo chiuso (in cui gli utenti, per farne parte, devono avere l’approvazione degli amministratori), le regole di Facebook lo permettono.
«Pastorizia never dies», «foto di amiche» e gli altri
Quello che le regole di Facebook non permettono, invece, è chiudere gruppi o eliminare contenuti se nessuno li segnala e se rispettano le policy del social stesso. Due condizioni che «Pastorizia never dies» e altri gruppi chiusi stanno ben attenti a non violare. Di questi gruppi chiusi fanno parte molti che condividono e pubblicano contenuti offensivi e violenti contro le donne. La denuncia arriva da Arianna Drago, una giovane che ha scritto un lungo post su Facebook contro i gruppi «che raccolgono foto di ragazze normalissime, che le ritraggono in viso, alle loro festa di laurea o intente a fare shopping, rubate da utenti maniaci e messe alla mercé di uomini altrettanto maniaci, costellate di commenti che inneggiano allo stupro e all’umiliazione delle stesse». La denuncia riguarda sia gli iscritti a questi gruppi (dove, sottolinea lei, «alcune persone hanno riconosciuto loro conoscenti, parenti o fidanzate»), sia «Facebook e le sue policies», incapaci di tutelare la violenza vera, quando invece battagliano o bannano «nomi finti» e «immagini politicamente scorrette»». Chissà in quale di queste categorie rientrava il post di Arianna (ripreso dal direttore del Tg La7 Enrico Mentana e all’origine di una mobilitazione da parte delle utenti italiane di Facebook), che dopo alcuni giorni dalla pubblicazione è sparito. Facendo intervenire la presidente della Camera Laura Boldrini, che sempre sul social network ha pubblicato un post di denuncia: «Arianna mi ha evidenziato una cosa gravissima: una parte del suo post di denuncia è stato OSCURATO da Facebook perché «non rispettava gli standard della comunità» ».
I gruppi contro le donne
«È inaccettabile che una piattaforma globale con 28 milioni di utenti solo in Italia, che dice a parole di voler combattere l’hate speech, usi poi la censura contro chi denuncia l’odio attraverso la pubblicazione di oscenità e violenza mentre non interviene nei confronti di chi lo mette in atto e se ne fa vanto», scrive Boldrini. L’obiettivo del suo messaggio è sostenere la giovane, anche attraverso l’hashtag #iostoconarianna. E, anche, sensibilizzare il social e magari spingerlo a «intervenire immediatamente per chiudere questi gruppi». In Italia ce ne sono moltissimi: basta digitare «foto di amiche» sulla barra di ricerca del social per trovarne diversi. Oppure «cagne in calore», «moglie e fidanzate», «giovani fighette». E ancora «scatti per le strade italiane», «la esibisco». La lista è lunghissima. Però finché nessuno segnala i post di questi gruppi, contro questi contenuti non si può fare nulla. Nemmeno contro i gruppi stessi, che contano anche migliaia di iscritti. Ma forse, dopo l’intervento di Boldrini, le cose potrebbero cambiare. In Francia è già successo: il gruppo misogino «Babylone 2.0», segnalato dalla blogger Chrys e ripreso dai principali media francesi e belgi, è stato chiuso da Facebook stesso. Peccato che subito sia rispuntato l’erede – e questo ancora non lo ha bloccato nessuno, come nessuno ha bloccato le pagine fan create dai «nostalgici» di «Babylone 2.0».
di Greta Sclaunich, Il Corriere della Sera