Chiude la concessionaria web creata da Italiaonline, Mediamond, Rcs, Espresso e Banzai
Maggioni (Upa): digitale è un’opportunità ma serve conoscenza
di Marco A. Capisani, ItaliaOggi
Non è tutto ora quel che luccica anche nel mondo della pubblicità, almeno a guardare il programmatic advertising, sbandierato come la nuova frontiera della pianificazione pubblicitaria in tempo reale, grazie a piattaforme digitali che abbinano le campagne a precisi target di consumatori.
Da qualche giorno, infatti, è stata messa in liquidazione Gold 5, la concessionaria creata circa due anni fa con quote paritetiche da Italiaonline, Mediamond (per Mediaset e Mondadori), Rcs Mediagroup, Banzai (poi uscita) e Manzoni (gruppo L’Espresso). Specializzata in video display advertising, come annunciato a luglio 2014 dalla stessa società, Gold 5 si avvale in particolare «di una piattaforma tecnologica in grado di cogliere le rilevanti opportunità di business del programmatic advertising». Oggi, però, il panorama editoriale è cambiato, considerando tra l’altro (ma non solo) cessioni varie di portali online e cambi di proprietà nei gruppi editoriali. E così la concessionaria ha finito per dismettere la rete commerciale mentre da fine mese non erogherà più campagne.
A detta però delle aziende che investono in pubblicità, riunite nell’Upa presieduta da Lorenzo Sassoli de Bianchi, il programmatic resta un’importante opportunità, solo serve maggior trasparenza e conoscenza del mezzo. Ecco perché l’argomento farà parte del Libro bianco sul digitale che Upa presenterà, nella sua prima parte, all’inizio dell’anno prossimo insieme con Assocom, Fcp Assointernet, Fedoweb, Fieg, Iab, Netcomm e Unicom. Il tema della trasparenza è tornato alla ribalta anche in questi giorni dopo che «per la seconda volta nel giro di un mese Facebook ha dichiarato di aver trovato errori di applicazione nelle metriche di misurazione dei propri risultati», hanno ribadito da Upa. Quindi «sentiamo sempre più la necessità, nell’articolato e complicato panorama dei media, di un approccio di metodo per ridurre le opacità, minimizzare gli errori e investire al meglio, comunicare senza dispersione e misurare i ritorni».
Nel frattempo, per quanto riguarda il programmatic advertising, Upa è passata all’azione e ha già concluso un round d’incontri di formazione per le aziende associate perché «l’interesse dei marchi è alto, visto che è una piattaforma che evita di sprecare contatti e può colpire target precisi di consumatori», dichiara a ItaliaOggi Giovanna Maggioni, d.g. di Upa. «Inoltre, il programmatic advertising è sempre più usato. Secondo alcune fonti, a livello mondiale, copre già il 25% circa degli investimenti».
Quali sono allora i punti delicati? «Servono fin dall’inizio informazioni che siano accurate e certe, per esempio sul loro utilizzo legale senza ledere la privacy altrui», spiega Maggioni. «I dati da utilizzare devono essere selezionati con attenzione prima ancora di iniziare la pianificazione di una campagna. Altro snodo importante è verificare che gli spazi pubblicitari che vengono abbinati a un messaggio promozionale siano il più possibile qualificati», ossia per esempio non appartengano a siti hard o fuori legge o, banalmente, non siano siti lontani dal posizionamento del brand. In aggiunta, va tenuta in considerazione sia l’ingente mole d’informazioni allo studio (dai dettagli delle campagne precedenti a quelli del crm-customer relationship management) sia la complessità di elaborare le informazioni tenendo conto non solo dei parametri classici (come età, grado d’istruzione di un consumatore) ma anche e soprattutto di nuove caratteristiche (come gli interessi di un cliente nel suo tempo libero).
Se poi il timore dell’inserzionista è quello di perdere il controllo della sua pubblicità, «Upa consiglia alle aziende di studiare in modo approfondito le informazioni di cui dispongono», prosegue Maggioni, «selezionarle e poi affidarsi a un esperto. Sta nascendo infatti una nuova figura di specialista: il data scientist». L’obiettivo, sempre secondo Maggioni, è arrivare a disporre di «una misurabilità e un monitoraggio costante del proprio investimento». Solo in questo modo si possono evitare i paradossi delle nuove tecnologie. Quali? Quelli capitati ad alcuni editori, secondo quanto risulta a ItaliaOggi, che, volendo promuovere le loro testate e i loro siti web, si sono affidati al programmatic advertising per poi scoprire solo in un secondo momento che stavano comprando e pagando spazi a se stessi.