Ore 14, Camera dei deputati. Riunione dei servizi di sicurezza interni. Uno dei responsabili: “Mi raccomando, attenderlo al 25 dove entra il pubblico. Deve passare da lì, non da altri posti”. Istruzioni sul controllo appena si presenta il misterioso personaggio atteso: “Svuotategli le tasche, tutto nell’armadietto all’entrata. Non può entrare con nulla addosso. Niente telefoni. Niente monetine addosso, possono diventare un’arma lanciate da lassù. Ah, via anche gli occhiali da sole. Potrebbero essere anche quelli lanciati. Quelli da vista? No, quelli non possiamo”.
Ore 14,30, tribune della stampa e del pubblico a Montecitorio. Arriva un piccolo corteo in divisa: i commessi. Si ingrossa sempre di più, diventa un piccolo esercito. Lassù sulle tribune tanti così non se ne sono visti nemmeno per l’appuntamento clou di una legislatura: l’elezione del nuovo capo dello Stato. Parlottano fra loro, consultano al telefono una donna alla presidenza della Camera. Si danno le istruzioni del caso: “sempre uno esperto che affianca i più giovani”.
Ne arrivano altri, questa volta non in divisa. Sembrano in borghese, ma hanno un distintivo sul bavero della giacca: poliziotti dell’ufficio interno di Montecitorio. Mai visti in occasioni simili. Certo, c’è un buon numero di giornalisti e cineoperatori. Ma non il pienone delle grandi occasioni: le tribune erano assai più affollate ad esempio durante le sedute clou della discussione sull’Italicum o sulla riforma costituzionale.
La stampa sa che la discussione in aula sarà accesa e forse volerà qualche parola grossa: si sta per discutere della riduzione del 50% della indennità parlamentare, proposta da Roberta Lombardi del Movimento 5 stelle. Ma sa anche che il copione è già scritto da giorni: pochi minuti di dibattito, e quella proposta tornerà da dove è venuta: la commissione affari costituzionali dove in effetti mezz’ora dopo sarebbe stata rinviata con un voto a maggioranza. Non c’è grande suspanse, e qualche tribuna è perfino semi vuoto. Un commesso più arcigno degli altri la butta comunque lì ai colleghi: “se è il caso, non tiratevi indietro. Menate pure. E se ci capita in mezzo qualche giornalista, è sempre ben fatto”. Un altro avverte: “se capita qualcosa, tanto il presidente sospende la seduta. A quel punto tutti a prendere documenti e identificare, è il nostro dovere”.
Le eccezionali misure di sicurezza non sono per i giornalisti. A vederle mentre si dispiegano ci si aspetterebbe che qui sopra da un momento all’altro piombi Pablo Escobar, il capo dei Narcos. O Al Baghdadi con le truppe dell’Isis. Invece eccolo lì, quel signore dalla barba e capelli argentati quasi intimidito dal gran caos di queste tribune, che obbedisce come un bimbo a quel che gli viene detto, accompagnato da un giovane spilungone che ebbe la sua celebrità alla prima edizione del Grande Fratello. E all’altro fianco una graziosa e minuta biondina. Eccolo, il narcos: Beppe Grillo, accompagnato da Rocco Casalino e Ilaria Loquenzi che si siederanno al suo fianco.
Qualche sorriso a vedere da vicino quel copione già scritto, un paio di occhiali da vista inforcati per guardare meglio i suoi deputati che da lassù in piccionaia non si vedevano. Non un battito di mani, non uno di riprovazione nemmeno quando qualcuno dall’aula lo attaccava come ospite indesiderato. E chiuso il copione, eccolo diligente insieme ai suoi due angeli custodi risalire gli scalini e andarsene dopo avere salutato il simpatico capo dei commessi.
Chissà cosa si aspettava Laura Boldrini e chi con lei ha condiviso quelle istruzioni ieri. Ma la notizia è proprio quella: non è accaduto null’altro che questo incredibile hara-kiri messo in scena nel timore di Grillo. In aula nulla di diverso dal copione già scritto: la Pd Cinzia Maria Fontana che ha chiesto di prendere subito il toro per le corna, e parlare della proposta Lombardi. Il centrista Lorenzo Dellai che ha dovuto fare lui la parte che il partito di maggioranza non se la sentiva di giocare direttamente: cassare la proposta, proponendo di farla rinviare in commissione. La Lombardi che protestava fra gli applausi dei suoi, Giorgia Meloni che si schierava con il Movimento 5 stelle, spiegando che “il vero tema degli emolumenti dei parlamentari non è dato dal fatto che ai cittadini dà fastidio che i parlamentari guadagnino bene. Gli dà fastidio che guadagnino bene quando non producono i risultati che i cittadini si aspettano”.
E l’ultimo hara-kiri messo in scena dal Pd attraverso il suo capogruppo, Ettore Rosato, che ha rivendicato un argomento di sicura presa sull’elettorato: “Ogni parlamentare del Partito Democratico, con una detrazione, con un rimborso di mille, 2 mila, 3 mila euro, ogni parlamentare che è qui, e non solo qui, anche nei banchi di altri gruppi, versa mille, 2 mila, 3 mila, almeno 4 mila euro al mese per mantenere i partiti, che sono uno strumento previsto dall’articolo 49 della Costituzione”.
Davvero geniale nel suicidarsi il partito di Matteo Renzi: la Lombardi aveva chiesto a luglio di discutere in aula il “dimezza stipendi degli onorevoli”. Il Pd ha tergiversato, rinviando fino a questa settimana, e offrendo il destro al M5s con un’arma formidabile nel pieno della campagna elettorale referendaria: la proposta M5s farebbe risparmiare al Parlamento assai più della riforma del Senato che si voterà. Ed è stata bocciata così. Grillo, il presunto capo dei Narcos, ha sorriso e goduto. I suoi si sono lanciati in piazza con striscioni e megafoni per comizi improvvisati da tutti i leader, trasmessi in diretta e no su tutti i social. Un regalo straordinario che non avevano nemmeno sognato di potere ricevere…
L’imbeccata di Franco Bechis