Non a caso il presidente della Repubblica Sergio Mattarella al Forum Ambrosetti di Villa d’Este, pochi giorni fa, di fronte all’establishment economico e finanziario del pianeta ha richiamato la necessità del “rilancio degli investimenti pubblici e privati”, specie – ha aggiunto – nei settori innovativi. Dopo la carta della riforma del mercato del lavoro, della pubblica amministrazione e del sistema bancario e dopo la politica dei bonus per sostenere la domanda oggi il tema degli investimenti si presenta in primo piano nell’agenda economica del governo alle prese con l’assemblaggio della nuova legge di Bilancio. Le prime indiscrezioni dicono che Palazzo Chigi è intenzionato ad inserire almeno 1 miliardo alla voce investimenti pubblici, mentre un occhio andrebbe anche a quelli privati con l’introduzione della Iri (che favorisce il mantenimento degli utili nelle microaziende con tassazione ridotta al 24 per cento) e con la proroga del superammortamento del 140 per cento.
Il dibattito delle prossime settimane dirà se queste misure sono sufficienti e sufficientemente qualificate.
Quello che è certo è che quando il policy maker apre il rubinetto degli investimenti può comunque aspettarsi un buon ritorno. Secondo l’Fmi un aumento permanente dell’1 per cento degli investimenti in infrastrutture produrrebbe un aumento del Pil a breve dello 0,4 per cento. Studi più o meno analoghi descrivono sempre con il segno più il risultato di nuovi investimenti. Vale la pena vedere come l’Istat e Bankitalia fotografano la situazione degli investimenti in Italia: ci si accorge di una situazione drammatica e si tocca con mano il rischio di perdere terreno rispetto al mondo della robotica e dell’ingegneria genetica internazionale che in questi mesi sta mostrando mirabolanti risultati al mondo. In Italia, invece, gli investimenti fissi lordi, dalle costruzioni ai macchinari, sono diminuiti dal picco del 2007 del 30 per cento, scendendo dal 21,9 per cento del Pil al 16,9 del 2015. Peraltro anche la qualità di questo 16,9 per cento non è esaltante: circa la metà è composto dall’edilizia e dalle costruzioni che non sono certo la parte più innovativa dell’economia.
Se si stringe lo zoom sul privato si scopre che la stessa Ucimu, l’associazione confindustriale dei produttori di macchine utensili e robot, ha recentemente reso noto un dato sorprendente: il 27 per cento dei macchinari utilizzati nelle nostre imprese è più vecchio di vent’anni. Un record che è stato toccato nel 2016.
Ha ragione il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco che nelle Considerazioni finali del maggio del 2015 ha ammonito: “L’attività innovativa in Italia è meno intensa che negli altri paesi avanzati, soprattutto nel settore privato”. Inutile sottolineare che il ritardo è assai marcato con la Germania e sensibile anche con la Francia.
Repubblica