Se Urbano Cairo si è messo in testa di fare l’editore il merito è un po’ di ItaliaOggi. Tutto iniziò infatti il 19 dicembre 1998 quando questo quotidiano, a pagina 15, pubblicò la notizia: «Giorgio Mondadori in vendita».
E infatti Cairo, intervistato da ItaliaOggi (articolo pubblicato il 6 febbraio 1999 a pagina 15) nel giorno del closing per l’acquisto della casa editrice, risponde: «Ho iniziato a mettere gli occhi sulla Giorgio Mondadori dopo l’articolo apparso su ItaliaOggi del 19 dicembre scorso, nel quale si annunciava che Giorgio Mondadori era in vendita. Mi sembrava un’opportunità interessante, con testate complementari a quelle che ho già in portafoglio come concessionaria». Già in quella intervista ci sono alcuni ingredienti della ricetta di Cairo come imprenditore-editore: «Giorgio Mondadori ha tre immobili a Milano per complessivi 13 mila metri quadrati: 8 mila in via Ponti, 3 mila in via Cadore, 2 mila in via Binda. Sono troppi i metri quadrati sfitti». Gli immobili sono infatti uno dei primi costi su cui Cairo va sempre a incidere (lo ha fatto pure a La7, lo farà in Rcs). E la Giorgio Mondadori lascerà tutte quelle sedi, per concentrarsi in un solo palazzo, in corso Magenta a Milano.
Poi a Cairo scatta il pallino del quotidiano. Prima si quota in borsa, nel luglio del 2000, e colloca il 26% di Cairo Communication incassando 209 miliardi di lire che saranno per tanto tempo uno degli asset fondamentali del gruppo, molto liquido e con zero debiti verso il sistema bancario. Quindi, all’inizio di ottobre dello stesso anno, rileva per quattro miliardi di lire il 34% del quotidiano Libero, fondato da Vittorio Feltri. La macchina del quotidiano, tuttavia, è una brutta bestia. Probabilmente l’equilibrio economico-finanziario di Libero non c’è ancora, Cairo si spaventa, ed esce dal business dopo pochi mesi: «A fine 2000 l’operazione con Libero era partita in certo modo», racconterà qualche anno dopo Cairo a ItaliaOggi, «poi qualcosa non ha funzionato. E sono uscito. Libero, però, è andato molto bene e faccio i miei complimenti a Feltri». Una storia che ha ricordato ieri lo stesso Feltri su Libero: «io ci rimisi 200 o 300 milioni di lire, che Cairo si guardò bene dal restituirmi».
Tra il 2003 e il 2004, tuttavia, a Cairo torna la passione per un quotidiano. Questa volta pensa di realizzarne uno lui, col taglio dei tabloid popolari inglesi. Sonda vari direttori, tra cui Enrico Mentana e Vittorio Feltri, ma «non ho trovato nessun direttore adatto disponibile». E perciò lascia stare e si dedica ai settimanali.
Ma quello del quotidiano è un tarlo che evidentemente non lascia la mente di Cairo. E qualche anno più tardi, durante un fugace pranzo col sottoscritto al ristorante milanese 4 Mori, si lascia sfuggire di «aver pensato di acquistare l’Unità, ma è stato solo un fugace pensiero che poi ho messo da parte».
A fine 2014, nel corso degli incontri con i suoi uomini per gli auguri di buon anno, Cairo però si sbilancia: parla non tanto di fondare un quotidiano, quanto di comprarne uno esistente. E iniziano le prime ipotesi su Rcs, di cui è piccolo azionista. Quando poi nel marzo del 2016 il gruppo Fca-Fiat annuncia l’intenzione di uscire da Rcs, Cairo capisce che un certo mondo è finito, che si sono rotti determinati equilibri, e che c’è spazio per scalare via Rizzoli. E, in effetti, aveva ragione.
Italia Oggi