Alla fine il corteggiamento (finanziario) di monsieur Louis Desazars, il ceo della controllata europea del colosso giapponese della cosmetica Shiseido, la più antica al mondo (97 marchi e 7,6 miliardi di euro di fatturato), ha avuto la meglio sugli altri pretendenti, a cominciare dal leader assoluto, la francese L’Oréal (22,5 miliardi di fatturato e tassi di crescita a due cifre anche in una fase di contrazione del mercato).
Sei mesi di trattative su più tavoli, con diverse offerte in competizione, rilanci e garanzie contrattuali ma, alla fine (come aveva anticipato ItaliaOggi il 15 gennaio scorso) Dolce&Gabbana, che ha chiuso il bilancio 2015 con oltre un miliardo di euro di fatturato, ha deciso di cedere «l’exclusif de licence mondiale» dei suoi profumi alla Beauté Prestige International, controllata da Shiseido, per una cifra che l’advisor dell’operazione, la banca d’affari Rotschild, si è rifiutata di rivelare, com’è costume in questi casi.
Ma perché, dopo un lungo periodo di felice convivenza industriale e finanziaria, Dolce&Gabbana abbandona il suo partner, la multinazionale della detergenza Procter&Gamble, la cui divisione cosmetica P&G Beauty Brands (6 miliardi di dollari di fatturato) ha prodotto per anni i suoi profumi (così come quelli di Gucci, Hugo Boss, Lacoste e altre griffe della moda), per passare a Shiseido?
La risposta sta nelle dinamiche di un mercato gigantesco come quello della cosmetica che, sempre di più, ha bisogno di campioni globali alla ricerca frenetica della redditività.
Da qui fusioni e acquisizioni a raffica. L’ultima ha coinvolto P&G e il gruppo Coty (nato in Francia nel 1904 ma internazionalizzatosi in fretta: oggi è quotato a Wall Street) che hanno messo insieme i loro fatturati (i 4,4 miliardi di Coty e i 6 di P&G) e i loro marchi (Coty portava in dote Calvin Klein, Balenciaga, Bottega Veneta, Marc Jacobs).
Nel Grande Deal c’era anche Dolce&Gabbana, come s’è visto, che, però, per ragioni che non conosciamo, non ha accettato di finire nella scuderia dei due giganti diventati ancora «più giganti». E, a differenza di Gucci, che invece ha deciso di restare dov’era (cioè nel portafoglio di P&G), ha preferito, per così dire, mettersi sul mercato. E trovarsi un nuovo partner industriale.
All’inizio, il fidanzato giusto sembrava essere L’Oréal che, difatti, ha presentato una sua offerta. Solo che nel portafoglio-marchi del gruppo francese c’era (e c’è tuttora) anche il grande concorrente italiano Giorgio Armani con i suoi cosmetici e i suoi profumi. Come convivere sotto lo stesso tetto con Re Giorgio?
Vero che il patron di L’Oréal, Jean-Paul Agon, aveva dato a entrambi la garanzia che nessuno «ne marchera pas sur leurs plates-bandes», insomma che nessuno avrebbe disturbato l’altro, ma Dolce&Gabbana, alla fine, non s’è fidato e ha preferito stare con Masahiko Uotani, il patron di Shiseido, che quanto a dimensioni non è da meno del gruppo P&G-Coty (7,6 miliardi di euro di fatturato contro i 9 consolidati dei due americani) ma, probabilmente, ha più attenzione ai marchi, alle loro strategie e alla sensibilità degli stilisti (ha appena lanciato il programma «Vision 2020» con lo slogan «Increase the Power of Brands», rafforzare il potere dei marchi, e una dote finanziaria di 8 miliardi di dollari).
Oppure il fidanzamento Dolce&Gabbana-Shiseido ha un’altra spiegazione. Questa: la sua controllata europea, la Beauté Prestige International, quella che ha firmato il contratto (operativo dal 1° ottobre) con lo stilista italiano, aveva perso, a gennaio, la licenza dei profumi di Jean-Paul Gautier (150 milioni di euro di fatturato) e, quindi, aveva tutto l’interesse a trovare un valido rimpiazzo. A qualsiasi costo e a qualsiasi condizione, pur di allargare la sua scuderia che già conta Narciso Rodriquez, Miyake e, da settembre, Zadig&Voltaire, appena rilevato da Clarins. Dolce&Gabbana ha intuito che il colosso giapponese aveva «fame di marchi» e non s’è lasciato scappare l’occasione.
Giuseppe Corsentino, ItaliaOggi