Il ceo di Vodafone: «Nelle aziende globali ci saranno sempre meno dirigenti. Hanno ridotto i livelli gerarchici con organigrammi più snelli e in più molte funzioni sono state automatizzate. La conseguenza immediata? Meno ruoli a disposizione»
«Sì, è assolutamente vero. Le grandi aziende globali hanno ridotto i livelli gerarchici con organigrammi più snelli. In più molte funzioni sono state automatizzate e la conseguenza immediata è altrettanto evidente: ci sono meno ruoli a disposizione anche per professionalità elevate. Non è un reazione di tipo difensivo dovuta alla Grande Crisi, è una trasformazione di lungo periodo». Vittorio Colao è il Ceo del Gruppo Vodafone, risponde al telefono dal Kenya e sulla base delle cose che vede ogni giorno ci conferma nell’idea che l’ascensore sociale salirà molto di meno perché nel frattempo saranno venuti a mancare i piani alti. «Potrà sembrare paradossale ma i primi a rendersi conto di questo cambiamento sono stati proprio i giovani. In Kenya, in Egitto e in Italia. E cominciano a cambiare le loro preferenze, non puntano più a diventare dei senior executive ma vogliono fare, giustamente, delle scelte da imprenditori. Ieri sera a cena a Nairobi alcuni di loro mi hanno detto che vogliono diventare “degli employers, non degli employees” e lo vogliono proprio per reazione al rallentamento dell’ascensore sociale». Il passaggio da una società dell’occupazione fissa a quella dell’intraprendenza è uno scossone, al quale forse i giovani riusciranno a far fronte, ma il contesto socio-politico no. «Lo capisco – risponde Colao – ma proprio per questo motivo bisogna cominciare a pensare in maniera diversa e chi ha la responsabilità delle politiche pubbliche deve favorire in primo luogo l’accesso a buone università, poi lo sviluppo delle piccole/medie imprese e l’azzeramento della burocrazia ». Che tipo di business potranno mettere in piedi i nuovi giovani imprenditori? «Faranno tante cose che una volta le grandi aziende globali si procuravano al loro interno. I software per le strategie di marketing, i data analitycs. Ho visto in questi giorni ex colleghi di Vodafone che in Kenya hanno creato un business che non esisteva, la prima carta pre-pagata dell’elettricità solare e hanno già 300 mila clienti». Se erano così bravi perché ve li siete fatti scappare? Colao ride e replica: «Certo che erano bravi ma hanno cercato la loro crescita nella capacità di essere imprenditori. Oggi disegnano chip e impiegano 800 dipendenti». In Italia però stiamo piangendo le nostre grandi imprese che non ci sono più e stiamo rimettendo su pezzi di capitalismo di Stato. «E intanto l’indice European Round Table che misura la facilità di fare business vede ancora l’Italia troppo in basso. Dobbiamo credere di più nelle nostre start up e farle crescere, è la risposta da dare alla richiesta di mobilità dei giovani. Bisogna aver gli occhi chiusi per non vedere cosa cambia attorno a noi. Airbnb non solo ha creato un business che non c’era ma sta facendo nascere attorno a sé un indotto. Aziende di pulizie e imprese di servizi specializzati. A Lisbona ho conosciuto degli studenti che hanno creato la Uber delle guide turistiche. Quando nascono questi fenomeni le amministrazioni devono semplificare e porre meno barriere, devono aiutare le nuove imprese se vogliono dare risposte anche di carattere occupazionale. E’ una rivoluzione cha abbraccia Nairobi, Lisbona, Dusseldorf e Milano e ha come protagonisti i giovani che vogliono diventare employers usando le potenzialità e le risorse del digitale». Avremo, dunque, tante piccole imprese digitali e pochi colossi multinazionali? «In fondo non è altro che il vecchio modello dell’artigianato di distretto, rivisitato. Aziende che lavorano fianco a fianco, qualcuna diventa Ferragamo e le altre si specializzano nella fornitura. Il digitale crea distretti virtuali molto forti, ognuno fa benissimo una cosa sola. Una volta queste cose si pensava che fossero possibili solo nella Silicon Valley, oggi no. Sono possibili a Berlino, Lisbona, Nairobi, Lagos, Mumbai e non le sto citando città a caso, ma luoghi e realtà che ho visto con i miei occhi».
Dario Di Vico, Corriere della Sera