Stasera l’argentino in campo contro l’Atletico per centrare il traguardo della semifinale. Ma la grande prestazione di ieri del portoghese riapre il dualismo tra i più grandi della nostra epoca
Riassunto dei guai recenti del miglior calciatore del mondo: una richiesta di 22 mesi di carcere per frode fiscale in Spagna, una foto di suo fratello a cena con una banda di narcotrafficanti su una rivista argentina, la presenza del suo nome e della Mega Stars Enterprises nella lista dei paradisi off-shore spuntati dai Panama Papers. Tutto in sei mesi. Ma Leo Messi non sarebbe Messi se non vivesse in ritiro dalla realtà. Un altro mortale starebbe perdendo sonno e fantasia dietro gli avvocati. Messi no. Se sta in campo, pensa al campo. Se sta fuori, gioca a playstation. Il suo anticorpo è la levità. I guai veri sono altri. La storia del maledetto gol numero 500, per esempio. E poi questo dannato ragazzo di nome Cristiano, che si mette in testa di far tre gol salvando il Real e Zidane nella settimana meno adatta. La meno adatta per Leo, si capisce. Finché il Barcellona vive in un coloratissimo mondo disneyano, fatto di 32 vittorie e 7 pareggi in 39 partite da ottobre a marzo, sono tutte rose e fiori. Ma quando arrivano due sconfitte in tre partite, con i due Real – Madrid e Sociedad – per dirla alla Mascherano: ti senti dentro un film dell’orrore. Tutto il pessimismo cosmico che i catalani hanno nel loro dna applicato al calcio, e non solo al calcio, riemerge come d’incanto. Anche se hai il migliore del mondo che veste la tua maglia, soprattutto se il migliore del mondo non segna da tre partite e sembra stanco, perché non salta un minuto da diciotto giornate. Eccolo, il vero tormento di Messi. Segna contro la Bolivia in Nazionale e da quel momento il traguardo dei 500 gol in carriera, la possibilità di sentirsi mezzo Pelé, si manifesta. Si manifesta e lo frena. Altro che giudici, criminali e papers. Questa sì che è una cosa seria. La grandezza di una tappa può svuotare. Come la finale di un Mondiale. Come la finale di una Coppa America. Non c’è leggerezza che possa aiutare. Ai suoi 84 milioni di contatti su facebook il Messi corrucciato ha detto che “si va avanti avendo fiducia in noi stessi”. Ma stasera, dentro quel budello di febbre e passione che si chiama Vicente Calderón, Messi sa che deve dimenticare la farfuglia del gol e deve rispondere a Ronaldo. Non è più da tempo una rivalità fra due campioni. È un’ossessione che coinvolge due mondi. Madrid contro Barcellona, Barcellona contro Madrid. Zidane ha già riaperto i sondaggi ieri sera, dopo il 3-0 contro il Wolfsburg. “Ronaldo è il numero uno”. Così è facile, così siamo bravi tutti. Marca, il quotidiano sportivo madrileno, oggi chiama “demoledor” il suo Cristiano e giudica i 46 gol segnati in 42 partite “una barbaridad”, per reggere l’immagine di uno spirito del 7 che contiene qualcosa di guerresco, di primitivo. Questa è la figura che lo specchio del dualismo rimanda oggi al tenero Messi. Questo è il quadro dentro cui stasera scattare, dribblare, provare a segnare per chiudere la qualificazione alla semifinale di Champions, sempre raggiunta dal Barça a partire dal 2008, tranne che due anni fa, perché di mezzo si mise proprio l’Atlético di Simeone. Questo è il quadro: una partita psicologica, una faida mediatica. Se Mundo Deportivo, il quotidiano catalano, scrive che Messi è sulle soglie del record e che gli manca un gol per arrivare a 500, a Marca c’è chi rifà i conti e replica che no, in realtà gliene mancano due: s’è fermato a 498. Come se non bastasse, gli argentini sostengono che i 500 gol il loro Messi li abbia già compiuti a febbraio, siamo noi in Europa che non consideriamo i sedici che fece con le nazionali Under 20 e Under 23. Per tenersi distante dalla guerriglia pre-partita e dalle insidie delle domande madrilene, ai confini del regolamento Uefa, Luis Enrique ha spostato la conferenza della vigilia dallo stadio all’albergo, si è presentato con un’ora di ritardo e ha risposto in modo sbrigativo perché il Real era nel frattempo in campo con il Wolfsburg, e tutti volevano vederlo. Poi da lì è sbucata la tripletta di Ronaldo, e allora povero Messi, siamo punto e daccapo.
Repubblica