Al-Jazeera, la stella più scintillante nel firmamento televisivo internazionale, il marchio più seducente del giornalismo globale, il più branchée, il più alla moda, il network tv dove non c’era giornalista (possibilmente di sinistra) che non volesse andare, si sta spegnendo. Molto velocemente. A fine aprile l’emittente americana, Al-Jazeera Usa, aperta en fanfare, cioè senza badare a spese nel 2013, che sognava di diventare come la Cnn, anzi meglio, chiude e licenzia 700 dipendenti, tra tecnici, giornalisti, personale amministrativo.
Subito dopo sarà la volta della sede centrale di Doha, capitale del Qatar, l’emirato diventato dal 1996 (anno della fondazione di Al-Jazeera) la vera capitale dell’informazione televisiva in lingua araba (e non solo), dove sono previsti altri 500 licenziamenti, come già riportato da ItaliaOggi martedì. In totale, 1.200 dipendenti, il 20% di tutto il personale del network che oggi conta 5.200 addetti.
«È la fine di un’epoca», ha confidato un giornalista del network al corrispondente dell’agenzia Reuters di Beirut che lo intervistava (ovviamente in forma anonima), «Al-Jazeera paga la crisi economica, il crollo del prezzo per petrolio, ma soprattutto il suo posizionamento politico, il suo schierarsi a favore delle cosiddette Primavere arabe. Oggi il nuovo emiro, lo sceicco Tamin, il figlio dello sceicco Al-Thani, che aveva sostenuto la nascita del network tv negli anni d’oro, non vuole avere grane con Al-Jazeera».
Dunque, si chiude o quasi. I canali in inglese (Al-Jazira English), in turco (Al-Jazeera Türk), in serbo-croato (Al-Jazeera Balkans) saranno fortemente ridimensionati e anche il canale che trasmette in diretta e copre tutta l’informazione dal mondo arabo (Al-Jazeera Moubasher) vedrà ridimensionato il suo budget.
«Stiamo solo facendo un’operazione di efficientamento dei nostri servizi», ha dichiarato alla Reuters il direttore dell’emittente, Moustafà Saouag, «l’obiettivo è conservare la leadership nel mercato internazionale del media». Come no! Con 1.200 licenziamenti e il progressivo smantellamento di un apparato produttivo pensato per un’audience globale e che, probabilmente, finirà per avere la taglia di un’emittente locale (seppure di grandi dimensioni). Le ragioni economiche sono evidenti: non sono più i tempi di Al-Thani, il fondatore del network che lo sceicco immaginava come l’arma più potente per sedurre l’Occidente. L’unica grande risorsa dell’emirato, il petrolio, ha perso il 70% del suo valore e la Qatar Petroleum almeno 12 miliardi di dollari (10,7 miliardi di euro). Pensate che, per onorare il contratto d’acquisto di 24 cacciabombardieri francesi Rafale, lo sceicco Tamin ha dovuto farsi prestare i soldi da un consorzio di banche internazionali guidato dal Giappone.
Ma sono altrettanto evidenti anche le ragioni politiche della crisi di Al-Jazeera: il suo schierarsi a favore delle primavere arabe ha creato più di un momento di tensione tra Doha e il suo potente vicino saudita con cui i rapporti non sono mai stati idilliaci. Meglio, dunque, mettere la sordina alla tv più «movimentista» del mondo arabo.
«Al Jazeera non è più la priorità dello sceicco», confida una fonte vicina allo sceicco citata dalla Reuters. «Ora la priorità è rifare tutta la corniche di Doha». Sì, un bell’investimento immobiliare senza troppi pensieri. Secondo il vecchio stile delle petromonarchie del Golfo.
Italia Oggi