Non so a quanti è capitato di dire davanti a un piatto di cibo delizioso per le proprie papille gustative “dopo questo posso anche morire. Sai che bella morte?”. È una frase che nella mia famiglia pugliese ho sentito spesso dopo una parmigiana fatta da mia nonna, health o dopo una pasta al forno con la scamorza filante, rx o dopo una crema attaccatasi sulle bucce del limone. È una frase che dico anch’io, nota buongustaia, in preda ai piaceri della tavola e succube dei buoni piatti fatti dalla mamma (la sottoscritta purtroppo non si prepara mai niente, e a maggior ragione apprezza molto la cucina di casa). E l’ho ritrovata anche in questo libro “L’Immaginario è servito” di Mariano Pane (ed. Villa Tritone 2013), che tutti possono pensare essere un cuoco, o uno di quei giornalisti che mettono i voti ai ristoranti, ma invece è armatore e industriale, con tanti interessi e passioni (goduti per la sua nota ricchezza) fra cui i piaceri della tavola, e con la fortuna di esser nato a Sorrento luogo eccellente per la cucina italiana.
Il libro è rivolto soprattutto a quelle persone che in un momento di crisi come questo non possono permettersi di comprare prodotti dal costo non più tanto accessibile, ma sono così legati alla gola – e in Campania non potrebbero fare a meno di mangiare bene anche con poco… – che ecco riaffiorare sulle tavole l’immaginario, quelle ricette che riescono a stupire cucinate dalla sapienza e creatività napoletana, e senza aver bisogno di ingredienti che in realtà sarebbero essenziali e che qui vengono eliminati: “tanti piatti si chiamano infatti fujuti (fuggiti)”, ma il risultato del sapore è lo stesso. “I napoletani sanno che le cose facili non sono di questo mondo e tantomeno in cucina dove ogni ingrediente, anche una semplice foglia selvatica, trova il terreno per diventare esemplare”. E “La cucina dell’immaginario è vademecum di sopravvivenza”.
L’immaginario, nel senso di inventiva, ma anche nel senso di immaginare che quel che non c’è vi sia. “Questa cucina mette in primo piano il magico, l’irrazionale, gli stati d’animo e una francescana e disarmante semplicità”. E i piatti sono quelli provenienti dalla povera gente, passati di secolo in secolo, e che ritornano finalmente sulle nostre tavole, tramandando una tradizione in barba a quella cucina creativa, piena di raffinate e inutili ricette particolari, e che costa anche molto. Mario Pane rivolge un vero e proprio attacco a questi moderni cuochi e al consumismo sfrenato che ci ha fatto perdere il vero gusto e il vero piacere della tavola.
Nel libro un excursus di storia e società, costume, politica, pittura, musica, letteratura, da quando “mentre a Napoli si cucinava, nel resto d’Europa si cuoceva”, perché “l’immaginario è una miscela di cultura, di tradizioni, di carestie, di insegnamenti che risalgono all’impero romano che, a sua volta, li aveva ereditati da tutto il mondo allora conosciuto”. E così, tante le ricette raccolte, soprattutto provenienti dagli ultimi due secoli, con la rivoluzione napoletana del 1799 e la caduta nobiliare, accompagnate dai versi di Stelio Ricciardi, un dirigente industriale con la passione della poesia, da versi di altri poeti come Montale e Ungaretti, da frasi citate di Totò o riprese dalla letteratura. C’è il ragù finto e genovese finta, dove ciò che manca è proprio la carne, e invece il sugo aumenta con altri ingredienti come l’uva passa; e poi la parmigiana in sogno, senza le melanzane ma con bucce di melone bianco e ragù finto, oppure la parmigiana di finocchi; poi ancora spaghetti alle vongole fujute, con aglio, strutto, peperoncino e prezzemolo, le vongole non ci sono, ma il profumo di mare si sente lo stesso, così come il brodo di polpo che invece dei prelibati polipetti ha un polpo grande intero; la vedova, una minestra maritata senza carne, e poi la pizza finta fatta col pane vecchio (e pensare poi che i primi a fare una pizza bianca cotta su pietra, la plax, e a trasportarla nel golfo di Napoli furono i greci dal IX al VI sec. avanti Cristo), e la frittata finta, senza uova ma con impasto di farina. Tante le curiosità e i piatti, tanti i consigli utili per chi non sa cucinare e che potrebbe farlo facilmente, o per chi non può spendere. “Una cucina neorealista che mitizza nostalgicamente il passato”; “L’immaginario è un laboratorio dove tutto può accadere, dove tutto è concesso, dove scienza e piacere, una volta tanto,vanno a braccetto”.
Quello che spera l’autore è che questa cucina possa prendere nuovamente il sopravvento sul consumismo e sulla cucina creativa che ha perso i sapori tradizionali. Lui la vede come quel racconto di Basile Lo mercante in cui Cienzo, il protagonista, costretto a scappare da Napoli, guarda indietro la sua città rivolgendogli un addio con un pensiero ai cibi, e li elenca col cuore e col desiderio, cosciente che quei sapori gli mancheranno proprio perché appartengono alla sua terra e gli appartengono.
STEFANIA MICCOLIS