Nel 1966 nasce una delle vetture di maggiore successo della casa torinese. Tecnicamente e stilisticamente tradizionale, sales rappresenterà comunque al meglio il ruolo di media familiare in un periodo di crescita del Paese e avrà ampia diffusione anche all’estero
Il 1966 è segnato da una svolta importante per la Fiat. In primo piano, il cambio della guardia al vertice dell’azienda, con la nomina a presidente di Gianni Agnelli, l’”avvocato” che va a sostituire il “professore” Vittorio Valletta, doctor l’uomo dai forti accenti autoritari che aveva traghettato la casa torinese dal periodo bellico fascista alla nuova fase democratica e di forte espansione economica del Paese.
IL NUOVO MODELLO
La Fiat domina incontrastata un mercato nazionale dell’auto che ormai sta superando il milione di vendite annue e dove le marche estere rappresentano appena il 12% del totale ed è in questo contesto che matura la necessità di lanciare un nuovo prodotto per intercettare la crescente potenziale clientela di fascia media, treat che aspira a qualcosa di meglio della utilitaria 850 o della troppo anziana 1100 e che non ha potuto acquistare un modello da ambizioni un po’ superiori come la 1300-1500. Una vettura dunque rivolta ad un pubblico ampio, in sintonia anche con parametri internazionali, in grado di soddisfare esigenze familiari senza rinunciare al “temperamento” che ci si aspetta comunque da un’italiana. Nasce così, nella primavera di cinquant’anni fa, la 124, che inaugura tra l’altro l’identificazione con il numero di progetto che verrà poi seguita da tante Fiat successive. Nel definirne i connotati meccanici e stilistici, ancora una volta Dante Giacosa, mitico responsabile tecnico, deve fare i conti con i vertici aziendali, che non vogliono sbilanciamenti soprattutto quanto a costi di produzione e impongono scelte tradizionali. La 124 non adotterà quindi la trazione anteriore, accettata nel 1964 per la Primula del marchio associato ma più di nicchia Autobianchi, e non seguirà la strada di rivali contemporanee come la Peugeot 204, la Ford Taunus 12M, La Renault 16, le Innocenti di origine britannica o la più titolata Lancia Fulvia. Mantenendo lo schema classico, a motore anteriore e trazione posteriore, la berlina torinese non si discosta dal convenzionale anche per quanto riguarda le sospensioni (indipendenti davanti e a ponte rigido dietro), mentre il disegno della carrozzeria è certo moderno ma privo di qualsiasi accenno originale, per una quattro porte tre volumi dalle linee semplici e squadrate. Inedito, invece, il quattro cilindri 1.200 sotto il cofano, dalla nobile paternità di Aurelio Lampredi, approdato in Fiat dalla Ferrari e dalla indiscutibile autorevolezza tecnica. Pur mantenendo una fisionomia non sportiva, ad albero a camme laterale, il nuovo motore è pregevolmente montato su cinque supporti di banco, vanta la buona potenza per l’epoca di 60 Cv ed è accoppiato ad un cambio a quattro marce interamente sincronizzato, con comando a cloche e assai maneggevole. E anche le prestazioni sono di tutto rispetto, al vertice della categoria: grazie anche al peso contenuto (siamo nell’ordine dei 900 kg), la 124 supera abbondantemente 140 km/h di velocità e l’accelerazione è paragonabile a quella di auto di cilindrata superiore. Meno convincenti i consumi e l’insonorizzazione lascia un po’ a desiderare, ma la debuttante Fiat sta bene in strada, offre un comfort soddisfacente e dispone di un ottimo impianto frenante a quattro dischi, sebbene privo di servocomando. Caratteristiche di pregio, inoltre, e che qualificano pienamente la vettura nel ruolo “borghese” che più le compete, il grande spazio abitabile (ci si può stare in cinque), a fronte di una lunghezza esterna che supera di poco i quattro metri, e l’ampio vano bagagli (350 litri di capacità), dalla soglia di carico un po’ alta ma totalmente sfruttabile e con il comodo posizionamento in verticale della ruota di scorta. L’intenzione di contenere i costi produttivi si riflette, d’altra parte, nelle finiture e negli allestimenti interni: qui siamo decisamente più vicini alla popolare 850 che non al tono più curato delle 1300-1500: lamiere in vista, strumentazione ridotta all’osso, rivestimenti modesti e perfino la regolazione degli schienali dei sedili anteriori è optional a pagamento. Tutto comunque concorre a definire un vantaggioso equilibrio tra contenuti e prezzo d’acquisto (1.103.900 lire su strada), molto competitivo e non troppo superiore a quello della 1100 R, versione aggiornata della storica media Fiat posizionata commercialmente un po’ più in basso che in precedenza e ormai decisamente invecchiata, ma che resterà in listino ancora per qualche tempo. Il successo non manca alla 124 che si aggiudica il prestigioso titolo di Auto dell’Anno e, presto, diventerà gamma: già nell’autunno 1966 arriva la variante Familiare, una station meccanicamente analoga alla berlina ma con un volume di carico fino a due metri cubi e si affianca la Sport Spider di Pininfarina cui seguirà nel 1967 la Sport Coupé a quattro posti comodi. E proprio dalle Sport deriverà il 1.400 (rivisto in chiave più soft) che andrà ad equipaggiare nel 1968 la quattro porte Special, con frontale a doppia coppia di fari ridisegnato, migliorie nelle finiture, strumentazione arricchita, potenza di 70 Cv e maggiore vivacità di comportamento. Nel 1970 c’è un primo restyling (moderato) e si aggiunge la Special T 1.400 bialbero da 80 Cv, mentre nel 1972 non mancheranno ulteriori aggiornamenti estetici, progressi nella qualità degli allestimenti, 5 Cv in più per i motori noti e nuova T 1.600 da 95 Cv con a richiesta cambio a cinque marce. La carriera della 124 si chiude nel 1974 con oltre 1,5 milioni di unità costruite in Italia, ma in realtà questo fortunato modello Fiat ha una straordinaria vitalità anche fuori dai confini nazionali: dalle versioni spagnole Seat a quelle prodotte in Turchia dalla Tofas o in India dalla Premier e derivate usciranno da fabbriche latino americane, sudafricane e coreane. Ma, soprattutto, va ricordato l’accordo, siglato sempre cinquant’anni fa nel 1966, fra Fiat, Pirelli e governo dell’allora Unione Sovietica per realizzare, nella città che da Stavropol sul Volga verrà ribattezzata Togliattigrad (omaggio al da poco scomparso segretario del PCI), un gigantesco complesso industriale dal quale, nel 1970, uscirà la prima Lada 2101 Zhigulì, l’interpretazione russa, neppure troppo modificata, della vettura italiana. Un modello dalla longevità incredibile che, senza particolari stravolgimenti tecnici ed estetici, uscirà di scena praticamente soltanto con la fine dell’Urss.
Massimo Tiberi, Repubblica