Giornalista, scrittore e gastronomo italiano. Edoardo Raspelli, dal 1998, conduce ogni domenica il fortunato magazine di ambiente e gastronomia “Melaverde” (Canale 5) dove garbo ed informazione viaggiano da sempre a braccetto. Una trasmissione di divulgazione grazie alla quale si viene a conoscenza di tecniche e fasi di colture ed allevamenti di cui la maggior parte di noi è totalmente digiuna. Non mancano le ricette che deliziano il gusto e la vista del telespettatore. Raspelli, inoltre, cura sul quotidiano “La Stampa” l’unica rubrica italiana di recensioni su ristoranti ed alberghi. Con “Melaverde” realizza sempre ottimi ascolti. Qual è il segreto del successo di questo programma? Raccontiamo la realtà agricola italiana, professiamo un ritorno alla terra, ai suoi sapori ed alle sue tradizioni. In diciotto anni abbiamo praticamente sviscerato oltre mille argomenti pur avendo a disposizione un budget piuttosto “risicato” rispetto ad altre trasmissioni simili alla nostra. Esattamente come dei buoni padri di famiglia cerchiamo di fare del nostro meglio con i mezzi che abbiamo e, fino a questo momento, ci siamo riusciti. Il programma non solo intende scoprire la nostra Italia attraverso i suoi prodotti, ma vuole anche sensibilizzare il pubblico verso gli animali. Esattamente. Oggi, per fortuna, c’è molta più attenzione e rispetto nei riguardi degli animali; incontriamo stalle pulitissime e curate perché final mente si è capito che meglio vivono gli animali e migliore sarà il prodotto che ne deriva. Non parliamo mai di uccisione dell’animale, semmai di trasformazione, perché anche il linguaggio è molto importante. Lei ha iniziato a scrivere per la cronaca nera. Cosa ricorda di quel periodo? Era il 1971 ed iniziai con l’omicidio di Simonetta Ferrerò uccisa a coltellate, nel 1972 fui il primo ad arrivare sul luogo dell’uccisione del commissario Calabresi. Erano gli anni di piombo, un periodo davvero non facile. Come avvenne il suo passaggio ad un tipo di informazione completamente diversa? Nel 1975 Cesare Lanza, all’epoca direttore del Corriere d’Informazione, edizione del pomeriggio del Corriere della Sera, mi ordinò di occuparmi delle recensioni sui ristoranti. In quel momento è stata inventata in Italia la critica gastronomica. L’anno successivo comparve il famoso “faccino nero” che contrassegnava il ristorante peggiore della settimana. L’esperienza più disgustosa? Non posso citare il ristorante perché ancora esiste, dico solo che si trova nell’Appennino italiano. Ordinai un piatto di funghi e ci trovai delle mosche morte, me lo feci riportare e c’era una ciocca di capelli! Come è nata la sua passione per il cibo? Certamente non nella casa dei miei genitori. Mio padre, infatti, che lavorava come funzionario negli ospedali, quando tornava a casa non sopportava nessun odore, quindi, tra le nostre mura non si potevano usare né aglio, né cipolla, né produrre qualsivoglia profumo. Io, mia madre e mio fratello apprezzavamo la buona cucina quando andavamo da una zia vedova che abitava sul lago di Garda e lì potevamo apprezzare sapori fantastici come la mozzarella di bufala, l’olio extravergine d’oliva o il burro d’alpeggio. Voglio fare un film sulla cucina. E una persona che fa autocritica? Si, rivedo sempre le puntate di Melaverde e lo faccio con spirito critico mettendomi spesso in discussione, sono piuttosto ansioso dinanzi alla telecamera e, quando posso, mi consolo con un libro consigliatomi da mia figlia dal titolo La paura degli altri nel quale vengono descritti alcuni timori o disagi. Quando, invece, è lei a criticare le cose cambiano. È diventato più buono negli anni?
Si dice che con l’età ci si “ammorbidisce” e, sostanzialmente, è vero, ma bisogna anche dire che oggi è quasi impossibile stroncare un ristorante perché si pone molta più attenzione al cibo ed alla sua provenienza, mentre, un tempo, si faceva un po’ tutto, come si suoi dire, alla carlona. È vero che sogna di fare l’attore? In realtà qualcosa ho già fatto interpretando me stesso nel film “Asfalto rosso” e il ruolo di un cameriere nella pellicola di Piero Chiambretti “Ogni lasciato è perso”. Ora spero di realizzare un film gastronomico. Il progetto c’è, bisogna solo trovare i fondi necessari per realizzarlo e questa è la parte più difficile. Ed ha anche cantato? Si, diverse volte a scopo benefico e poi con una bellissima orchestra al Teatro Politeama di Brescia. Chi ama ascoltare? Luigi Tenco, Enzo Jannacci, I Gufi e Fabrizio De Andre: i migliori!
Cristina Archillletti