Dettagliato report Wine Monitor sulle prospettive nei due mercati
E’ grazie agli spumanti – e in particolare al Prosecco, se l’import di vino italiano negli Usa ha registrato, nel corso degli ultimi 5 anni, un aumento del 61% a valore e del 26 per cento a volume. Si è trattato di performance superiori alla media del mercato, ma inferiori a quelle dei vini neozelandesi (+119 per cento) e francesi (+83 per cento). E’ andata meglio nel Regno Unito, dove, nello stesso quinquennio, l’import di vini italiani è aumentato del 64 per cento in valore e 35 per cento a volume, surclassando a valore praticamente tutti i diretti competitor, mentre a volumi rimanendo appena dietro la Spagna (+37 per cento). E’ quanto segnala un dettagliato rapporto di Nomisma Wine Monitor sull’evoluzione e le prospettive per il vino italiano negli Usa e nel Regno Unito.
Con complessivi 9 miliardi di euro, spiega il rapporto, Usa e Uk rappresentano i due principali mercati al mondo per import di vino, pesando rispettivamente per il 18 per cento e 15 per cento sul totale del vino commercializzato a livello globale. Gli Stati Uniti figurano, allo stesso tempo, come il primo paese al mondo per consumi di vino: oltre 31 milioni di ettolitri nel 2015, il 38 per cento in più di quanto si bevono gli italiani. Questo doppio primato deriva dal fatto che gli Usa rappresentano anche il quarto produttore mondiale (22 milioni di ettolitri nel 2015) e buona parte del proprio vino viene consumato entro i confini nazionali (ne esportano poco più di 4 milioni). Al contrario, il Regno Unito che per ragioni pedo-climatiche produce quantità marginali di vino, è “costretto” a consumare principalmente prodotto di importazione e in questo caso i consumi totali coincidono con gli acquisti dall’estero, facendo del Regno Unito il sesto paese al mondo per consumi (13,5 milioni di ettolitri).
Ancora più interessante, secondo il rapporto di Nomisma Wine Monitor, è il “peso” che il vino detiene sul totale delle bevande alcoliche consumate: 10 per cento negli Usa, 18 per cento e nel Regno Unito dove in entrambi i paesi la parte del leone viene fatta dalla birra. Da questi pochi numeri si capisce però dove insistono le maggiori prospettive di crescita per i vini italiani. Mentre nel Regno Unito è difficile pensare ad ulteriori effetti “sostituzione” rilevanti (tra vino e birra), nel caso degli Stati Uniti gli spazi di crescita sono duplici: da un lato, i tassi di penetrazione del vino ancora bassi tra i consumatori di bevande alcoliche dovrebbero crescere a scapito della birra (il consumo pro-capite di vino negli Usa è inferiore ai 10 litri, in Italia, seppur in calo, viaggiamo sui 37 litri); dall’altro, tra vini concorrenti, quelli esteri possono aumentare le proprie quote di mercato a danno di quelli nazionali, in virtù di una crescita dei redditi pro-capite che ha tra i propri effetti quello di “spostare” l’acquisto da vini locali a vini stranieri. Ovviamente, in linea teorica. Poi da quel punto in avanti interviene la concorrenza tra prodotti esteri (Francia, Australia, Nuova Zelanda, Cile) a fare la differenza.
Stante questo scenario, nel corso degli ultimi 5 anni le importazioni negli Stati Uniti di vini dall’Italia sono aumentate del 61 per cento a valore e del 26 per cento a volume, uno scostamento determinato sia da un riposizionamento qualitativo dei nostri vini oltre che da un effetto “rivalutazione” prodotto dal rafforzamento del dollaro rispetto all’euro. Le nostre performance sono state superiori alla media del mercato, intesa come trend dell’import totale (+52 per cento a valore) ma inferiori a quelle dei vini neozelandesi (+119 per cento) e francesi (+83 per cento). I dati relativi ai primi 10 mesi del 2016 mostrano ancora una tendenza positiva ma determinata da una spinta più debole: l’import di vino cresce a livello totale dell’1,8 per cento in valore e di appena lo 0,1 per cento in volume, con l’Italia che mette a segno un +3,9 per cento a valore e un +1,9 per cento a volume. Siamo cioè distanti da quel 10 per cento di tasso medio annuo di crescita che ha connotato l’import dal nostro paese nel quinquennio 2010/2015. Anche in questo caso, Nuova Zelanda e Francia registrano variazioni positive più ampie, rispettivamente pari a +9,2 per cento e +4,2 per cento in valore. Se guardiamo alle diverse tipologie, è solo grazie agli spumanti – e in particolare al Prosecco – che l’Italia registra questi valori positivi nel 2016: mentre i vini fermi imbottigliati calano del 2,6 per cento in volume, gli sparkling crescono del 25, per cento.
Anche il mercato inglese presenta analogie simili nelle tendenze che si sono manifestate su quello americano. Nel medesimo quinquennio di tempo considerato, l’import di vino è cresciuto del 21% a valore ma meno del 5% a volume. Rispetto a questa media, l’import di vini italiani è aumentato rispettivamente del 64 per cento e 35 per cento, surclassando a valore praticamente tutti i diretti competitor, mentre a volumi rimanendo appena dietro la Spagna (+37 per cento).
Le importazioni dal paese iberico hanno visto crescere soprattutto la categoria dei vini fermi imbottigliati (+50 per cento), mentre è nuovamente merito degli spumanti (e anche in questo caso del Prosecco) se gli acquisti dall’Italia sono cresciuti così tanto: basti pensare che, a volume, l’import di sparkling italiano nel Regno Unitoè cresciuto del 572 per cento tra il 2010 e il 2015.
Si tratta di un trend – prosegue Nomisma Wine Monitor – che trova conferma anche nell’anno in corso. I primi dieci mesi del 2016 mostrano una crescita dell’import dall’Italia che, nel totale a volume evidenzia un +3,2 per cento sostanzialmente frutto della categoria spumanti che, presa a sé stante, mette a segno un +38 per cento (si pensi infatti che i vini fermi imbottigliati italiani registrano un calo del 12 per cento a valore e dell’8 per cento a volume, in analogia a quanto sta accadendo all’import dell’intera categoria: -12 per cento a valore e -5 per cento a volume totale mondo).
“Secondo le nostre stime – afferma dichiara Denis Pantini, responsabile Wine Monitor di Nomisma – nel 2016 le importazioni a valore di vino negli Stati Uniti chiuderanno con una crescita inferiore al 2 per cento, mentre nel Regno Unito ipotizziamo un calo di quasi il 10 per cento”. D’altronde, si tratta di quei mercati che nel 2016 hanno vissuto due tra gli eventi più “destabilizzanti” e meno prevedibili che si ricordino: Brexit e l’elezione di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti.
Askanews