Gli exit poll delle parlamentari che si sono svolte oggi nel paese balcanico. A distanziare tutte le altre forze politiche il partito guidato da Liviu Dragnea, condannato in passato per frode elettorale
In Romania la voglia di più spese pubbliche contro la povertà sembra avere la meglio sulla stanchezza della corruzione dilagante specie a sinistra. Ecco i primi segnali che apparentemente vengono dagli exit poll sulle elezioni parlamentari svoltesi oggi nel più popoloso paese balcanico, partner importante per l’Italia.
Secondo le prime indicazioni (i seggi hanno chiuso alle 20 italiane) il Partito socialdemocratico è in testa e torna in forza al potere, con il 45,5 per cento dei consensi. Ben distanziate tutte le altre forze politiche, dal Partito nazionale liberale PNL (vicino al capo dello Stato anticorruzione Klaus Iohannis, il quale comunque è senza partito e secondo la Costituzione non può schierarsi nelle parlamentari) che raccoglie appena il 21 per cento, ai semipopulisti dell’Unione per la salvezza della Romania USR. La speranza del premier provvisorio uscente, il tecnocrate Dacian Ciolos, di formare una coalizione di centrodestra, è delusa. Resta da vedere come il Psd riuscirà a formare una maggioranza stabile, in un paese vitale per la Ue di cui è membro dal 2007, per la Nato di cui è membro ospitando anche sistemi antimissile, e a livello bilaterale per l’Italia vista sia l’importanza dei rapporti economici e gli antichi rapporti culturali storici, sia l’alto numero di romeni emigrati in Italia. Alla guida dei socialdemocratici è Liviu Dragnea, che fu personalmente condannato per frode elettorale negli anni passati. Ma oggi è lui il vincitore E subito dopo i primi exit polls ha promesso negoziati con la Alde (alleanza liberaldemocratica, un partito liberal) per formare una coalizione stabile. Le ombre del passato restano sul partito di Dragnea. Il suo predecessore come leader dei socialdemocratici (membri dei Socialisti europei all’Europarlamento) e come premier fu Victor Ponta, nemico storico del “presidente-mister clean” Klaus Iohannis. Ponta fu indagato per frode fiscale e altri sospetti di reato e poi si vide costretto di fatto alle dimissioni dopo il tragico rogo di una discoteca a Bucarest dove nel 2015 morirono tra le fiamme 65 giovani. Fu poi scoperto che in cambio di favori e tangenti i politici governativi avevano concesso la licenza edile senza controlli sui sistemi di sicurezza, evacuazione e antiinciendio del locale. Ma il Psd promette più spese sociali e meno tasse, e su questo sembra aver convinto gli elettori più dei rivali liberali, centristi e conservatori. Mentre i toni populisti o xenofobi sono rimasti in secondo piano nella campagna.
La Romania è una delle realtà più contraddittorie della Ue. Vanta una robustissima crescita economica del 4,8 per cento, grazie alla dinamica propria di vitale paese industriale, agli aiuti europei (26 miliardi dal 2007) ma anche ai fortissimi investimenti italiani, francesi, tedeschi, asiatici, scandinavi, alle importanti risorse quanto a materie prime e qualifica di accademici e manodopera industriale. E a differenza che in Polonia o in Ungheria gli umori nazionalpopulisti, xenofobi o altri estremismi sono marginali, a tutto vantaggio del rating del paese che nel dicembre 1989, con una sanguinosa rivoluzione/insurrezione/colpo di Stato si liberò dalla brutale tirannide comunista del ‘Conducator’ (Duce) Nicolae Ceausescu, avversario acerrimo delle riforme di Gorbaciov e ammiratore della Corea del Nord. Rispetto ad allora, se arrivi a Bucarest restaurata, piena di aziende straniere, affollata dal traffico, il paese è irriconoscibile. Eppure ha incassato l’emigrazione di oltre 3 milioni di persone, in maggioranza giovani qualificati e una povertà tuttora diffusa. E la Romania è afflitta secondo molti osservatori da una corruzione endemica. Dispone, è vero, di una potente autorità anticorruzione, la DNA (Directia Nationala Anticoruptie), guidata da una donna coraggiosa, Laura Codruta Kovesi, che pur minacciata ogni giorno non ha paura di nessuno e non si ferma davanti a nessuno. Purtroppo in un certo senso è lei la perdente del voto. “Vedremo se potremo ancora vivere nella nostra patria se i corrotti vincono”, dicono alla Afp gli ammiratori di Laura l’intrepida.
Intanto in Macedonia dove anche si è votato oggi si profila un testa a testa tra il leader conservatore uscente Nikola Gruevski, accusato di corruzione, intercettazioni telefoniche illegali, autoritarismo, e l’opposizione socialista di Zoran Zaev che da mesi porta la gente in piazza nella capitale Skopje contro il governo. La Macedonia negozia con difficoltà un ingresso futuro nella Ue.
di Andrea Tarquini, La Repubblica