di CESARE LANZA
Pioli, nella sua pacata dignità impiegatizia, non può risollevare l’Inter. Spalletti è bravo ma mefistofelico Inzaghi invece pare un lord ed è più in gamba del fratello Pippo. Ma il migliore resta «John Wayne» Sani Piolì è un bravo artigiano delfootball ma non ha la follia per rialzare VInter Sarri ha resistito all’addio dìHiguain: adesso gli serve un nuovo bomber Spalletti è valido, putroppoperò è convinto di avere inventato lui il calcio Inzaghi ha polso e anche la fortuna di non lavorare sotto Berlusconi
Maurizio Sarri e Stefano Pioli, Simone Inzaghi e Luciano Spalletti, Massimiliano Allegri e Gian Piero
Gasperini sono sei facce diverse e importanti del calcio italiano: si sono scontrati venerdì sera e ieri sera, oggi infine nel derby romano, e offrono a tifosi e critici nuove e suggestive riflessioni. Non mi ha stupito, tranne che per un particolare, la nuova disfatta dell’Inter: più di una volta, e forse con schiettezza
esagerata, ho sentenziato che Pioli non è l’allenatore «giusto» per rilanciare la Beneamata. È un bravo artigiano del football, ma non ha la follia, la creatività, le grandezze dell’artista, soprattutto non ha il carisma (e neanche la conoscenza delle varie lingue!) per domare e plasmare tanti calciatori acquistati sul mercato come fossero preziose statuine, soprammobili di pregio. Non è «squadra», l’Inter: forse Fabio Capello (grande condottiero) poteva riuscire ad aggregarla, non ce l’ha fatta l’anno scorso Roberto Mancini (super valutato), né quest’anno Frank De Boer (testardo, ma giustificabile), certo vi sarebbe riuscito Josè Mourinho dei tempi d’oro, quando era sorretto da energie e astuzie degne dell’Ulisse omerico. Nella sua pacata dignità impiegatizia, Pioli ricorda invece la malinconica senilità dei personaggi di Italo Svevo. Mi ha stupito però che non sia riuscito a mettere a posto neanche la difesa, prima regola della buona scuola italiana a cui l’allenatore interista appartiene. Forse fa bene a insistere su Ranocchia, per me recuperabile dalla sua inquietante crisi; certo Medel sarebbe più utile a centrocampo. Molto meglio di Pioli nell’Inter, sta facendo nel Napoli Sarri, a cui il presidente De Laurentiis ha sottratto (giustamente) Gonzalo Higuain, pagato dalla Juve una cifra allucinante. Il danno subito dal Napoli è tuttavia – fino ad oggi – largamente superiore ai benefici che ne ha ricavato l’ingorda Vecchia signora (e ben le sta!), che avrebbe fatto meglio a tenersi Pogba. Il Napoli è tuttavia in corsa per tutto, trascinato da un Marek Hamsik che sta vivendo la sua miglior stagione. Ma l’assenza di un goleador vero pesa e peserà molto alla lunga: non credo che il ritorno di Arkadiusz Milik, pur ottimo fino al grave infortunio, possa essere risolutivo: né l’eventuale arrivo di Mario
Balotelli, che deve ancora dimostrare di aver trovato stabilmente i lumi della ragione, né l’improbabile esplolione dell’amletico Gabbiadini, incerto e tormentato, alla ricerca perenne dell’identità, come il protagonista di Shakespeare. Comunque Sarri suscita simpatia: per pazienza e vigore mi ricorda il mitico John Wayne, ma non quello degli innumerevoli western: bensì il leggendario interprete di un ex pugile, innamorato, nel vecchio Un uomo tranquillo. Oggi a Roma c’è il derby, che ai tifosi laziali e giallorossi certamente sta assai più a cuore che il voto per il referendum. È una partita di straordinario interesse, non inferiore a quello che ieri si poteva nutrire per Juve-Atalanta. Perché è in gioco la leadership in campionato tra le due squadre della capitale. Simpatizzo per la Roma, ma il limpido Inzaghino mi piace di più, sul piano umano, del mefistofelico Spalletti. Una chiave di lettura? Sui vizi e le bravate notturne dei calciatori che giocano a Roma, i maestri del gossip potrebbero scrivere cronache (e libri) di scabroso e gustoso interesse, partendo dalle remote gesta di Ferraris IV fino a quelle più recenti di Paul John Gascoigne, detto Gazza, alle 6oo donne di Antonio Cassano, ai tanti episodi legati a Cordova e Renato e tanti altri. Ora, alla vigilia del derby, ricordo solo un 1-1 dolcevitaiolo tra Lazio e Roma: le auto sfasciate all’alba. l’anno scorso dal giovanissimo Keita, quest’anno da Peres (tutti e due oggi in campo). All’alba, ribadisco, quando un atleta dovrebbe essere nel (proprio) letto, in attesa di svegliarsi per l’allenamento. E forse sta proprio in questa vita di poche regole dei calciatori (basta parlare con un tassista o un barman, in città, per sentire spifferi e indiscrezioni d’ogni tipo) la spiegazione del perché, nella capitale, si faccia tanta fatica a vincere uno scudetto. Non azzardo pronostici. La Roma è una magnifica squadra, eguale e forse anche superiore alla Juventus, ma butta punti e occasioni nelle partite più banali. Ed è limitata da Spalletti, che litigò con Francesco Totti salvo poi inscenare una comica marcia indietro, quando dal campionissimo fu salvato con gol e varie prodezze: un valentissimo allenatore ma, purtroppo, è uno di quelli convinti di aver inventato il gioco del calcio. Nelle conferenze stampa si esprime come se tenesse (l’effetto è stravagante) una lectio magistralis all’università. Nella Lazio Inzaghino sta dimostrando di essere più forte di Pippo, il fratello maggiore, che fu devastato nel Milan dalle ingerenze di Berlusconi. Ha polso, idee, non fa proclami, sa aggregare (mentre il rivale, Spalletti, è divisivo). Il derby per la Lazio potrebbe essere deciso dall’ispirazione di Felipe Anderson o dalla rinascita di Immobile, per la Roma da Dzeko, ormai abbonato al gol, o dal divino Perotti, uscito definitivamente, grazie al successo in Italia, dalla depressione che lo stava stroncando. La Lazio è in serie positiva, sulla Roma – capricciosa e incostante – pesa l’infortunio di Salah. Dicono che la Roma sia favorita: per me, guarda caso, è l’esatto contrario. In un film, Inzaghi sarebbe un lord britannico, Spalletti un serial killer (o un agente segreto) americano. Nella realtà, hanno virtù e difetti italianissimi: vinca il migliore, o il più fortunato.
di Cesare Lanza, La Verità