Carlo De Benedetti: “Gli Usa hanno reagito alla crisi prima e con più decisione, perché sono un Paese giovane e dinamico. Il Quantitative easing della Bce è arrivato così in ritardo da essere inefficace. Ma il vero gap è sull’hi-tech, dove l’America è fuori portata”
L’Ingegner Carlo De Benedetti ne è convinto. Il mondo velocissimo di oggi ha bisogno di decisioni rapide e di politiche adeguate ai cambiamenti in atto. Perché ciò avvenga è necessario avere dirigenti all’altezza del compito. E forse oggi non ci sono “La grande responsabilità della mia generazione – dice – è quella di aver creato una classe dirigente inadeguata a dare speranza alla gente. E la sfiducia nelle élite, accoppiata alla crisi economica, mette in discussione le strutture democratiche. È questo il più grande pericolo che corriamo, quando come oggi si ragiona con la pancia. Il mondo è una pianta che vede cadere alcune foglie, e altre richiudersi”.
Ingegnere, questa crisi non accenna a finire, e se e quando finirà, sarà forse ricordata come la peggiore da tempi immemori.
“È così. Per trovare qualcosa di simile bisogna risalire agli anni ’20. Con una grande differenza. Allora il mondo era piccolo, circoscritto. La Cina, oggi seconda economia del mondo, era dormiente; l’India era una colonia inglese; l’Africa non esisteva. Era un mondo incomparabilmente più facile da gestire, e in Europa e negli Usa esisteva una solida visione economica comune, nonostante maturassero le condizioni per la seconda guerra mondiale e per l’ascesa delle dittature. Oggi il mondo è l’intero pianeta, non ci sono più somiglianze con quel periodo. Allora i pilastri erano acciaio, automobili, petrolio. Oggi conta il mondo digitale, con le sue tentacolari articolazioni. E l’accoppiata globalizzazione–digitalizzazione ha contribuito in modo determinante a distruggere la classe media, negli Usa e anche in Italia. Affrontiamo la crisi in un contesto globale dal punto di vista geografico, e del tutto inesplorato dal punto di vista dei rimedi”.
Qualcuno però sembra aver capito la radice del problema. Negli Usa la ripresa c’è, mentre l’Europa stenta ripartire e tutte le medicine non riescono a risvegliare il malato. Perché?
“Gli Usa hanno reagito prima perché sono un paese più giovane, ed allo shock del 2007-08 hanno reagito con violenta determinazione, salvando le banche. È esattamente il contrario di quello che ha fatto l’Europa, applicando l’austerità. Anche immettendo, con ritardo, immense quantità di massa monetaria nel sistema le cose non sono cambiate. Anzi, il sistema bancario ha aggravato la sua crisi: con i tassi negativi si comprimono i ricavi, mentre la crisi fa aumentare le sofferenze. Le banche sono il sistema arterioso dell’economia: se il sangue non gira, il corpo si arresta”.
Anche il sistema bancario ha le sue colpe. All’economia reale i soldi della Bce non arrivano…
“Le banche hanno dei costi che non sono più compatibili con i ricavi e una struttura organizzativa non più compatibile con la tecnologia. Una volta gli istituti facevano la fila in Banca d’Italia per ottenere l’autorizzazione ad aprire nuovi sportelli. Oggi si pensa a come chiuderli”.
Un banchiere mi ha raccontato di aver scoperto che il 40% delle persone che entrano in una filiale nel centro di Milano lo fa per chiedere informazioni turistiche….
“Questo è incredibile e la dice lunga sulla situazione. Gli sportelli sono un costo pazzesco, nel futuro sopravviverà chi si è attrezzato per vivere on line. E chi non lo ha fatto o lo farà presto non avrà molto spazio, visti i requisiti di capitale che la Bce ha imposto. Qualcuno andrà in crisi e dovrà vendere pezzi di patrimonio. Ma questo non migliorerà le cose, visto che saranno vendute le cose buone, quelle che fanno guadagnare. La roba cattiva non la vuole nessuno. E così il sistema diventerà più debole”.
Di troppa austerità si può morire, in sostanza. È così?
“Stiamo usando le medicine sbagliate, e la crisi non è stata capita in Europa. Applicare l’austerità in deflazione è una contraddizione in termini: bisogna invece fare espansione. È un errore dogmatico portato dai tedeschi, che continuano ad insistere su questo punto. Il futuro, senza cambiamenti è preoccupante. La mia impressione è che le banche centrali siano arrivate a fine corsa. La Bank of Japan ha in pratica previsto una stagnazione che durerà altri 10 anni.
Il malato c’è e continua ad essere tale, ma non lo cura nessuno. L’economia è piatta e anche la Germania ha tassi di crescita che non si possono definire tali”.
Usa e Cina però stanno crescendo. La loro ricetta funziona. Sono i prossimi padroni del mondo?
“Si, gli Stati Uniti stanno conquistando il mondo attraverso la tecnologia. Un tempo c’erano la General Electric e i missili, oggi la guerra è cibernetica come dimostra il fatto che degli hacker possono destrutturare una campagna elettorale senza sparare un colpo di pistola. Apple e Google sono più penetranti di quanto nessuno sia mai stato in passato. Prendiamo Amazon, ad esempio. Tra breve avrà un potere che non ha mai avuto nessuno. Quando ero all’Olivetti il grande fratello era l’Ibm, oggi non conta più, ci sono aziende tecnologiche che sanno tutto dei singoli individui. E le teniamo nelle nostre tasche. Hanno facilitato la nostra vita, sono strumenti preziosi di cui non possiamo fare a meno, ma sicuramente hanno un potere pervasivo. Oggi il mondo subisce la supremazia americana, che nasce nella Silicon Valley. E gli unici che provano a rispondere, stavolta, non sono i russi ma i cinesi”.
Anche la Cina sta accelerando. Fanno telefoni eccellenti, lanciano satelliti, comprano aziende. Hanno anche la loro Amazon, Ali Baba, pronta a invadere il mercato.
“Ali Baba è la copia cinese di Amazon. Come numeri potrà anche superarla, perché ha un mercato interno enormemente più grande, ma non credo che potrà competere con Bezos. Ma la Cina sta crescendo, eccome. Nello sviluppo della tecnologia e in quello commerciale. Pechino ha il vantaggio della non-democrazia, che consente una pianificazione spinta. Prendiamo l’Africa. La Cina ha vinto concessioni ferroviarie esportando oltre ai materiali anche 15mila operai, una cosa mai vista. Prendiamo le merci: ha lanciato la sfida “One belt, One road” e progettato il più grande porto del mondo in Cambogia e una ferrovia che da Shenzen arriva nel cuore dell’Europa, una nuova Via della Seta. Non credo che oggi abbiano un disegno politico. La Russia voleva espandersi per creare un modello socialista, i cinesi cercano il dominio commerciale, preparano le rotte per invaderci con i loro prodotti. Gli Usa sono talmente avanti nella tecnologia da risultare imbattibili, ma la Cina li sta inseguendo”.
Nella partita invece sembra sparita l’Europa. Poche le aziende che reggono il confronto, poca la spesa per la ricerca. Quando è iniziato il declino?
“L’Europa è sparita da un pezzo. Una volta nelle telecomunicazioni l’Europa dominava. Chi si ricorda più adesso di Ericsson e di Nokia? Eppure avevano quasi il monopolio mondiale della telefonia mobile. Quel settore è scomparso, non c’è più niente. L’Europa ha perso occasioni e ha chiuso tante porte alle sue spalle. Ma alla crisi economica ha contribuito anche quella politica. Anche l’Unione zoppica. L’unica vera unificazione è stata quella delle due Germanie, grazie al metodo dei tedeschi ed al coraggio del cancelliere Helmut Kohl. La Germania ha sopportato dei costi, che alla fine abbiamo contribuito a pagare anche noi”.
Un eccesso di fiducia nell’allargamento, dunque.
“Prodi è stato un eccellente presidente della Commissione Europea, ma penso che in uno slancio di generosità, in una visione troppo ottimistica, abbia contribuito a creare condizioni di allargamento ad Est per paesi che non erano maturi economicamente e politicamente. Certo era difficile fare diversamente. Dove sarebbero andati quei paesi che volevano uscire da anni di comunismo? Volevano l’Occidente, temevano la Russia. Non si poteva dire di no. Ma le conseguenze le vediamo. Osserviamo con preoccupazione quello che accade nei paesi ex comunisti, dove ci si orienta verso la chiusura delle frontiere e nasce un forte nazionalismo di destra. C’è da chiedersi se questo sia compatibile con paesi che hanno una storia di welfare e tutele come la Francia o l’Italia”.
In realtà anche in Francia e in Italia stanno prendendo piede movimenti populisti che rinnegano alcuni principi della democrazia e della solidarietà. Perché?
“È un momento difficile. I partiti si moltiplicano e aumenta la loro evanescenza. La gente non ha fiducia nelle élite e alimenta le spinte protezionistiche, che sono il contrario della pace universale. Tre anni fa un fenomeno come quello di Trump negli Usa non sarebbe stato neppure immaginabile. Per questo dico che in questa crisi uno dei caduti può essere la democrazia. Il mondo per 20 anni si è aperto come un fiore che sboccia. Poi tutto si è fermato. Qualche foglia è già caduta. E vedo con preoccupazione che le foglie che non sono cadute stanno chiudendosi”.
Fabio Bogo, La Repubblica