Boom di utenti ma pochi ritorni, troppo potere del sito
di Andrea Secchi, ItaliaOggi
Viva la musica digitale, soprattutto lo streaming, grazie al quale sempre più utenti accedono a cataloghi enormi quando e dove vogliono. Attenzione però a chi la offre, perché in mancanza di adeguati compensi per autori e case discografiche potrà esserci «una seria minaccia alla stessa sopravvivenza dei creativi».
Per questo autori e artisti fra i quali molti italiani, da Zucchero a Laura Pausini, hanno scritto al presidente della commissione europea Jean-Claude Juncker denunciando il «value gap», la differenza fra il numero di utenti che ormai accede alla musica con queste modalità e i ricavi che sono invece riconosciuti ai detentori dei diritti.
Nella missiva si punta il dito in particolare sulle piattaforme che ospitano i contenuti caricati dagli utenti, come YouTube di Google «che di fatto sottraggono valore alla comunità musicale, agli autori e agli artisti».
La richiesta degli artisti a Juncker (coordinati da Ifpi, l’associazione che rappresenta l’industria musicale mondiale, Impala per le etichette indipendenti e Gesac per autori e compositori) è che in vista della revisione delle norme europee sul copyright si elimini l’esenzione di responsabilità di cui godono i provider come YouTube, il cosiddetto safe harbour, grazie al quale questi soggetti non sono responsabili del contenuto che caricano gli utenti, anche se violano il diritto d’autore. Non hanno quindi l’obbligo di bloccare a priori i contenuti incriminati, semmai di rispondere tempestivamente alle richieste di rimozione. «Queste esenzioni furono create oltre venti anni fa come garanzie per favorire lo sviluppo delle start-up digitali, ma oggi sono applicate impropriamente a corporation che distribuiscono e monetizzano il nostro lavoro», si legge nella lettera.
Di fatto oggi YouTube consente all’industria musicale di monetizzare anche i contenuti postati dagli utenti: un sistema chiamato Content Id riconosce i caricamenti non autorizzati e dà la possibilità agli artisti e alle etichette di guadagnare comunque attraverso la pubblicità in pagina. I proprietari dei diritti, infatti, una volta avvertiti possono decidere di far eliminare il contenuto oppure appunto di monetizzarlo. Questo unito agli accordi di revenue share che le etichette ormai hanno con YouTube sulle pagine dedicate e con i contenuti direttamente postati da loro. Il portale di Google parla di 3 miliardi di dollari (2,7 mld di euro) riconosciuti all’industria musicale.
Il problema è che secondo artisti ed etichette le fee di YouTube sono troppo basse. Nel Global Music Report 2016 di Ifpi si spiega che dalle piattaforme come YouTube, che hanno oltre 900 milioni di utenti arrivano al settore ricavi pubblicitari per 634 milioni di dollari (571 mln di euro), mentre dai servizi di streaming su abbonamento come Spotify, che hanno 68 milioni di utenti, i ricavi ammontano a 2 miliardi di dollari (1,8 mld di euro). In particolare, dice Ifpi, YouTube ha versato nel 2014 un dollaro per utente ai detentori di diritti, mentre Spotify ne ha versati 18.
Cosa c’entri il safe harbour con le fee troppo basse da YouTube lo spiega Enzo Mazza, consigliere delegato della Fimi. «La contrattazione con YouTube su questo argomento è continua, ma il safe harbour dà a Google un grande potere contrattuale rispetto agli aventi diritto e la monetizzazione è al ribasso, perché i contenuti nel portale ci sono comunque, postati dagli utenti. Il safe harbour era stato introdotto dalla Direttiva commercio elettronico per escludere dalla responsabilità i “mere carrier”, come le telco. Oggi una piattaforma come YouTube organizza i contenuti, li promuove, si comporta come un broadcaster, non come un semplice provider». La richiesta della lettera, insomma, è che si arrivi a un «fair playing field», un campo da gioco perfettamente livellato.