Gobetti e il “Migliore”: da sfiducia a stima

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Il rapporto con il segretario Pci passò dallo scontro al rispetto con forti divergenze. Escono due lettere del 1925

Piero Gobetti «era uno studioso, un appassionato delle idee e un ingegno originale», così scriveva Palmiro Togliatti in Lo stato Operaio nel 1931. Ma questo non fu il suo giudizio sin dall’inizio, perché lo cambierà nel corso del tempo. Nel 1919 Togliatti aveva infatti stroncato il giovanissimo Gobetti, considerandolo su L’Ordine Nuovo del 15 maggio un «parassita della cultura», «un idealista gentiliano», e lo aveva criticato sarcasticamente: «Che cos’è questo continuo tirare in ballo per ogni inezia tutto l’Arsenale dello Spirito, dell’Assoluto, dell’Ideale?», ritenendolo un «ragazzo di ingegno», che «si atteggiava a predicatore del rinnovamento morale del mondo». E questo a causa di un articolo apparso su Energie Nove, il 5 maggio 1919, in cui Gobetti spiegava che la democrazia si identificava con l’idealismo il quale superava tutte le fedi e le comprendeva. Lui aveva appena diciotto anni e non volle rispondere all’«intemerata del signor p.t.» e ripeteva quelle iniziali in minuscolo uscite sullo stesso articolo di Togliatti, quasi a screditare la sua figura e per non farsi intimidire da quel tono così sicuro di sé, perché «io non sono uno sciocco» e «lui non è così serio come crede», ma gli obbiettava pacatamente che comunque «non era certo morale falsare il pensiero dell’avversario». Il primo incontro-scontro verbale dunque non fu dei più felici, anche se entrambi erano combattenti intransigenti – l’uno di idee liberali intese «rivoluzionariamente», l’altro di ideali comunisti marxisti – ed uniti nella stessa lotta sociale per la libertà. Ma ecco che riaffiorano a Torino dal Centro Studi Gobetti due lettere che Palmiro Togliatti gli inviò nel 1925. Il progetto dell’edizione del carteggio di Gobetti è iniziato da molti anni: nel 1993 per Einaudi esce la corrispondenza con la moglie Ada, poi nel 2003 il carteggio degli anni 1918 – 1920, tra poco uscirà quello del 1923 e l’obiettivo è di ricostruire la corrispondenza delle relazioni che Gobetti ebbe con i singoli personaggi. Di queste due lettere se ne sapeva già l’esistenza, ma ancora non pubblicate vedono ora la luce sulla rivista Critica Liberale di Enzo Marzo (che prende poi il titolo dal terzo libro de La Rivoluzione Liberale), e sono accompagnate da una minuziosa e documentata nota di Pietro Polito, direttore del Centro Studi Gobetti. Escono proprio ai 90 anni dalla morte del precoce intellettuale e sembrano il segno di una riconferma e di una sorta di gratitudine a quel giovane che continua a stupire per la sua intransigenza contro ogni forma dittatoriale.

«È ella disposta a pubblicare….»
Polito ha effettuato una ricerca sul tema del bolscevismo in Gobetti. Nel numero precedente di Critica Liberale è uscito un articolo, La rivoluzione russa come una rivoluzione liberale, e come giusto prosieguo ecco le lettere di Togliatti a Gobetti, pubblicate per metterle a disposizione degli studiosi. Il tono di Togliatti nelle lettere cambia totalmente: egli mostra una grande stima e un grande rispetto per il giovane prodigioso e per il suo coraggio, e dichiara la grande importanza di poter disporre del logo scritto in greco, «Che ho a che fare io con gli schiavi?», della casa editrice Gobetti. Glielo sottolinea il 13 marzo 1925: «È ella disposta a pubblicare con l’insegna della sua casa editrice una traduzione italiana del rapporto della Delegazione tradeunionista inglese sulle condizioni attuali della Russia?»; E poi ancora: «Naturalmente insisto perché ella accetti. Credo che per lei sarebbe anche un successo». Un testo che non avrebbe comportato per l’editore alcun tipo di spesa perché a carico del partito comunista: «Tutte le spese di stampa e diffusione a carico nostro. Nessun gravame di nessun genere per lei e per la sua casa editrice» ma con un «migliaio di copie a noi». Si sarebbero però dovuti vedere «in caso di risposta affermativa» a Roma. E conclude con la formula «Saluti comunisti» che per chi legge, anche oggi, oltre a ribadire l’importanza per il partito comunista del testo che sarebbe dovuto uscire «in pochissimi giorni», sembrano quasi sottolineare una riconoscenza leale e appassionata per la stessa lotta antifascista.
Gobetti loda Gramsci
Togliatti ritorna a scrivergli il 19 marzo per scusarsi di un mancato incontro a Roma a causa di un ritardo del ritiro della posta, ma è fiducioso che la venuta di Gobetti nella capitale indichi la volontà di pubblicare il testo: «Dal fatto che Ella è venuto a Roma deduco però che è disposto a stampare il libro di cui le ho parlato. Mi dia una conferma per telegramma o per espresso da Graziadei e le spedirò subito il testo a mezzo di un compagno che viene a Torino. Con questo compagno potranno pure essere fissate le modalità della pubblicazione». Ma il testo non compare nelle pubblicazioni della casa editrice Gobetti, né se ne ha traccia in altre pubblicazioni. Gobetti non lo riceverà mai e comunque le retate fasciste si intensificheranno e di lì a un anno verrà forzatamente chiusa la casa editrice così pericolosa per il regime, che aveva senza indugio pubblicato tra gli altri gli scritti di Giovanni Amendola,  Luigi Einaudi,  Luigi Salvatorelli, Eugenio Montale. Intanto è bene sapere che neanche Gobetti ha avuto sempre un tono lusinghiero nel descrivere Togliatti. Le più belle parole su di lui sono in una lettera a Giuseppe Prezzolini il 25 giugno 1920: dopo aver giudicato in un primo momento L’Ordine Nuovo un «giornaletto di propaganda», ora loda Gramsci che è considerato «L’uomo migliore su cui il giornale si impernia» (per Gramsci le parole saranno sempre positive – aveva «la testa di un rivoluzionario»; «Più che un tattico o un combattente … è un profeta. Come si può esserlo oggi: inascoltati se non dal fato», scrive su La Rivoluzione Liberale. La stima è reciproca – Gramsci «Lo amò e predilesse», e lo riconobbe come «formidabile organizzatore della cultura»; fra i due la collaborazione sarà proficua nelle pagine delle rispettive riviste, soprattutto perché uniti nella lotta di classe, nel credere alle «forze del proletariato moderno» e alla «partecipazione del popolo alla vita dello Stato». E giudica Togliatti «un giovane sincero e colto» che «ha gettato da una parte gli studi per dare tutta la sua attività al partito». Ma non sa pronunciarsi per la sua attività di politico: «Non lo conosco molto e non so che possibilità ci siano in lui. Del resto anche nel partito è un uomo nuovo». Poi però su La Rivoluzione Liberale nell’aprile 1924 parla del «caustico ingegno» dell’autore di «alcune brillanti cronache culturali» sull’Ordine Nuovo. Ma ha molte riserve per la funzione politica e lo critica: «In una posizione di responsabilità», Togliatti «fu vittima della sua inquietudine che pare cinismo inesorabile e tirannico ed è indecisione, che fu giudicata equivoco e forse è soltanto un ipercriticismo invano combattuto e che tuttavia deve lasciare sospeso il nostro giudizio obiettivo» (non discostandosi dal giudizio dato sempre su La Rivoluzione Liberale nel marzo 1922).
«Partigiani adesso»
Piero Gobetti moriva a Parigi ad appena 24 anni e con un amore sviscerato per la vita: «Non devo nulla a nessuno. Se ho voluto la storia me la sono dovuta creare io. Se ho voluto capire ho dovuto vivere». E così amava profondamente Ada: «Una fanciulla come io la sognavo sola poteva darmi un senso immediato di elevazione», una elevazione morale, un senso forte della vita. Non ce la fece a resistere fisicamente alle ripetute violente e vigliacche percosse dei fascisti dopo che Mussolini aveva segnalato, nel giugno 1924 al prefetto di Torino Agostino d’Adamo, di informarlo e di vigilare «per rendere nuovamente difficile vita questo insulso oppositore di governo e fascismo». Ma ancora resiste al tempo e rimane immortale quel suo animo pieno di passione, la mente acuta e intelligente così sicura sin dall’inizio di combattere contro il fascismo: «La guerra al fascismo è una questione di maturità storica, politica, economica»; e di combatterlo subito perché «bisogna essere partigiani adesso!».

Stefania Miccolis, l’Unità