Un boom dello streaming per il mercato musicale italiano, ma il supporto fisico è pur sempre forte e fa la sua parte nel 2015, garantendo insieme con la musica digitale un incremento del 21% per il settore. In totale, secondo i dati raccolti da Deloitte per la Fimi – Federazione dell’industria musicale italiana, il fatturato al sell in (registrato sulle vendite ai negozi) è stato di oltre 148,3 milioni di euro, contro i 122,2 milioni del 2014, anno in cui la crescita c’era già stata ma si era fermata al 4%. La quota maggiore del fatturato arriva sempre grazie al supporto fisico: il 59% del totale, seppure in diminuzione di tre punti percentuali su un anno prima. Il totale è di 88 milioni di euro, in crescita del 17%. Si tratta ovviamente perlopiù di cd, ma si conferma il momento del vinile, le cui vendite si sono incrementate del 56% passando ai 6 milioni di euro. Il mercato digitale allarga quindi leggermente la propria fetta sul totale, 41%, e arriva a 60,26 milioni, +29% sul 2014. Siamo ben distanti da quello che accade negli Stati Uniti, dove lo scorso anno il digitale pesava per oltre il 68% dei ricavi: poco male per il nostro settore discografico, dal momento che il supporto fisico è quello che tutt’ora riesce a garantire i ricavi unitari maggiori. C’è però una tendenza che il mercato italiano rispetta appieno: lo streaming sta diventando la modalità di fruizione dominante nella musica digitale, tanto che è cresciuto del 54% a 41,2 milioni, contro un calo del 5% del download che ha fruttato 19 milioni. Andando più in profondità e dividendo lo streaming fra quello che arriva dai servizi gratuiti supportati dalla pubblicità e quello dei servizi su abbonamento, si nota come i ricavi del primo fra cui rientrano YouTube e Spotify free, pur cresciuti del 38% sono stati di soli 14,25 milioni. I ricavi da abbonamenti (Apple Music o Spotify, fra gli altri) sono invece stati di quasi 27 milioni, in incremento del 63%. Numeri che dimostrano come lo streaming gratuito (si pensi a quanti sono gli utenti del solo YouTube che ogni giorno ascoltano musica) sia un modello da cui la musica ricava molto meno rispetto agli altri.
Andrea Secchi, Italia Oggi