Due anni fa il senatore, ask vicino ad Alfano, sale fu costretto a dimettersi per presunte pressioni su un giornale che stava per pubblicare la notizia di un’inchiesta a carico del figlio. Salvo imprevisti dell’ultimo minuto, hospital col rimpasto rientrerà nell’esecutivo. «È la mia rivincita morale, Renzi mi considera un galantuomo», assicura lui
L’annuncio gliel’ha dato Matteo Renzi in persona mercoledì pomeriggio, mentre era in Senato per le mozioni di sfiducia contro il governo: «Tonino, domani non partire che definiamo tutto». Doveva tornare a Cosenza per il fine settimana, è rimasto a Roma per essere nominato (di nuovo) al governo. È così che poco meno di due anni dopo,Tonino Gentile, uomo forte di Angelino Alfano in Calabria e sottosegretario più breve della storia con le sue 72 ore, torna al ministero delle Infrastrutture e Trasporti. Con una investitura che conferma il peso di questa componente regionale (Gentile è il coordinatore) all’interno il Nuovo centrodestra. Che, Verdini o no, per il governo resta fondamentale coi suoi 32 senatori. «Renzi ha sempre detto: “Gentile è stato un galantuomo, un signore”. Se io non volevo, non mi dimettevo e nessuno mi poteva cacciare. La mia è una rivincita morale», dice il senatore all’Espresso, confermando la nomina imminente. Che pure, a sentirlo, pare lo lasci quasi indifferente: «Non sono uno che si esalta, di carattere. E poi sono segretario d’Aula al Senato, se guardassi ai benefit ne ho più qui che andando al governo». Nel marzo 2014, quando Matteo Renzi era arrivato a Palazzo Chigi da una manciata di giorni appena, Gentile fu spinto alle dimissioni per le presunte pressioni esercitate su “L’Ora della Calabria” un paio di settimane prima: il quotidiano stava per pubblicare un articolo su un’inchiesta a carico del figlio Andrea, accusato di abuso d’ufficio, falso ideologico e associazione per delinquere, relativamente alle consulenze d’oro dell’Azienda sanitaria provinciale . Il direttore, Luciano Regolo, si rifiutò di togliere il pezzo dalla pagina e lo stampatore e presidente di Fincalabra, Umberto De Rose, cercò di fare da mediatore con l’editore del giornale, Alfredo Citrigno.
Provando a convincerlo con le buone: «Loro sanno perfettamente che l’editore se vuole può in qualche maniera fermare la questione. Vale la pena di farti un nemico che poi è ferito come un cinghiale a morte? Un cinghiale quando è ferito colpisce per ammazzare». D’altronde in quei giorni Renzi stava per subentrare a Enrico Letta a Palazzo Chigi e una notizia del genere sarebbe stata un rilevante danno politico per Gentile. Alla fine, davanti all’inutilità di ogni tentativo, quella notte le rotative di De Rose misteriosamente si ruppero. E il quotidiano non uscì in edicola. Possibile che De Rose avesse fatto tutto di propria iniziativa? Soprattutto, chi era il “cinghiale ferito” se non lo stesso senatore Gentile? Alfano e Ncd fecero quadrato, parlando di “macchina del fango”, dal Giglio magico fecero capire che non era il caso e alla fine, dopo la diffusione della telefonata fra De Rose e Citrigno e qualche giorno di resistenza, il senatore si arrese: «Lo stillicidio a cui sono sottoposto da diversi giorni e che ha trovato l’acme allorquando sono stato nominato sottosegretario alle Infrastrutture, mi ha portato a una decisione sofferta, maturata nell’esclusivo interesse del mio Paese e nel rispetto del mio partito» dettò alle agenzie. Due anni dopo, tutta acqua passata. Perché se il processo per violenza privata a carico di De Rose ancora non riesce a partire per continui difetti di notifica, la scorsa estate la posizione del figlio di Gentile è stata archiviata dal tribunale di Paola. E così il senatore cosentino è tornato in pista per quel ruolo di sottogoverno frettolosamente abbandonato dopo appena tre giorni. A volte basta aspettare che la polvere si abbassi.
di Paolo Fantauzzi “L’Espresso”