Di Fiammetta Jori
“L’amore:un mistero, mind una speranza, un inferno!” Dario Bellezza (diario privato-1976)
Dopo la tragica scomparsa, in un incidente con la sua macchina nel 1992, del grande Gianni Brera, bellissima penna del giornalismo sportivo, è sorta una specie di silenziosa comunità di suoi “orfani”, uniti da un misto di umano rimpianto e religiosa devozione per l’uomo Brera, compagno di goliardiche bevute così come di umbratili sentenze sulla filosofia del vivere. Non so se fu Gianni Mura, suo allievo in pectore, a parlare per la prima volta dei “senzabrera”, con la sacralità di un d.C. laico, senza altari né croci.
Anagraficamente sono lontana da Brera, anche se ho letto con passione alcuni suoi articoli che restano nella storia del giornalismo sportivo e forse del giornalismo tout court, ma fui colpita dalla forza di una “piccola patria” che trovava la propria definizione nel riconoscimento di una assenza.
I “senzabrera” hanno infatti la nazionalità di una no man’s land del rimpianto comune, rivendicano la stessa appartenenza ad una traccia non da tutti visibile, l’orma lasciata da un gigante su cui provare i pochi che ne hanno il coraggio e la sensibilità-a saggiare, a confrontare, a misurare il proprio passo.
Perché allora non fondare, come in solitudine ho fatto nel mio cuore, “i senzadario”; certo non c’è il glamour della Stampa, non l’odore della carta, la forza di un incitamento sportivo (quando lo sport era ancora nobile), il sapore tanto amaro di una sconfitta o lo sventolio di un gagliardetto, non si ode il grido della vittoria in campo, dopo una partita giocata ad armi pari…..in questo la potenza evocativa di Gianni Brera, inarrivabile. Ma Dario Bellezza fu solo un poeta, è un poeta. E quanti per la poesia hanno, davvero, rispetto, venerazione, spirito di comunione come per la bandiera, per la patria, per la propria madre, per la figura paterna? Quanti veramente, profondamente cercano e trovano nella poesia se stessi, almeno un tratto, una sfumatura, anche un nonnulla dell’anima del mondo?
I ricordi sono e restano le uniche armi che abbiamo, tutti, per combattere la morte, sono le foglie del nostro povero albero che resistono al vento impietoso dell’umana natura, che distrugge, annienta, annulla tutto ciò che è stato. E “la bellezza salverà il mondo”?
La letteraria utopia della bellezza che, per estensione, è la vita, etica ed estetica, delle cose e degli uomini – troppo pochi – capaci di vederle ed amarle.
Non solo l’arte e non solo la natura – Caravaggio o un tramonto -ma chi saprà far tesoro, e dunque ricordo, immagine, visione, epifania del “bello” che ha guardato, vissuto, sognato, desiderato, avuto e perduto, e dunque nella memoria persiste e riemerge, avrà salvato nel cuore, nel sangue l’essenza sfuggente della vita, del suo senso più profondo.
È questa la poesia. Il tatuaggio definitivo, irrinunciabile, eterno sulla pelle come un graffito appartenente ad una preistoria che nessuno più conosce.
“Resterà nel tuo nome la Bellezza che oggi ci manca”….è questa frase che allora volevo scrivere sulla pietra che protegge il tuo lungo sonno nel cimitero inglese di Roma che tu tanto amavi e che, poeta tra i poeti, ti dà asilo.
Ne parlai, in quel triste giorno – era il 1996 – di un aprile per te mai cominciato, con il direttore del cimitero che mi accordò il permesso di farlo, ma non volli, per delicatezza, prevaricare con il mio gesto le volontà della famiglia. Forse ho sbagliato – “par delicatesse j’ai perdu ma vie” – ma dopo venti anni, con certezza solare so che non c’era retorica né vanagloria in quella impulsiva asserzione della forza del tuo nome: bellezza.
Nomen omen…..così la rilancio, la sottoscrivo, la enuncio ancora, la rivendico, innalzandola a stendardo per la via, appendendola come un bianco lenzuolo ad ogni finestra.
E la ricanto, la pronuncio come preghiera, omelìa inutile del nostro segreto Vangelo: “è, oggi come ieri, nel tuo nome la Bellezza che ci manca”, perché più non c’è per le strade, tutte le strade, e contrade del mondo…..- A Fiammetta, rossa e nera ,la morte non arriverà – me lo scrivesti in una dedica antica che spesso rileggo con amore e così a quel tuo amore scritto io rispondo.
Umile paladina e superstite dei “senzadario”.
1946-2016