
La Corte Suprema indiana ha stabilito l’estensione della permanenza in Italia del marò Massimiliano Latorre fino al 30 aprile. Questa decisione segue le dichiarazioni del governatore dello Stato meridionale del Kerala, Oommen Chandy, il quale ha affermato che richiederà al primo ministro Narendra Modi di far ritornare in India il fuciliere di Marina Massimiliano Latorre nei tempi previsti dalla sua licenza, ovvero venerdì. Rispondendo alle affermazioni del presidente della Commissione Difesa del Senato, Nicola Latorre (che condivide lo stesso nome), riguardo al fatto che il fuciliere italiano non sarebbe tornato a Nuova Delhi, Chandy ha sottolineato che Modi «deve intervenire in modo deciso. I marò italiani hanno commesso un crimine in territorio indiano e quindi devono rispondere alle leggi indiane».
La replica della Farnesina
La Farnesina, tuttavia, ha risposto che, sulla base della sentenza del Tribunale del Mare di Amburgo del 24 agosto scorso, l’Italia «ritiene che sia preclusa ogni decisione da parte della Corte suprema indiana relativamente al Fuciliere Latorre e che pertanto egli possa restare in Italia per tutta la durata del procedimento arbitrale internazionale avviato dal governo il 26 giugno 2015». L’Itlos stabilì infatti «la sospensione da parte di India e Italia di tutti i procedimenti giudiziari interni» sul caso dei marò.
L’indignazione dei pescatori
Nel frattempo, anche i pescatori del Kerala, regione situata nel sud dell’India, hanno espresso la loro reazione alla notizia. Attualmente, Latorre si trova in Italia per ricevere cure mediche. Charles George, responsabile del Kerala Fisheries Coordination Committee, ha accusato il premier Modi di «cedere alle pressioni della comunità internazionale» e di «tradire il popolo». Analogamente, il segretario della Federazione nazionale dei pescatori, T. Peter, ha criticato il governo di Nuova Delhi per «aver trascurato i diritti dei pescatori ad avere giustizia» per la morte di due colleghi nell’incidente che ha coinvolto i due militari italiani a bordo della petroliera Enrica Lexie nel febbraio 2012.
“Corriere della Sera”