(di F. Q. ) Chiuso per ore in Campidoglio, search poi la decisione. E un messaggio: “Ho 20 giorni per ripensarci”. L’ultima giunta, con le dimissioni di tre assessori. E infine l’ultimatum Pd: “Se ne vada o presenteremo mozione in consiglio comunale”
Il sindaco di Roma Ignazio Marino si è dimesso da sindaco di Roma. L’ultimo, ennesimo pasticcio – quello sugli scontrini e le cene, con le smentite di Sant’Egidio e ristoratori – gli è stato fatale. Pd e Sel, cioè i partiti che lo sostengono al Campidoglio, gli avevano dato una sorta di ultimatum: il primo cittadino avrebbe dovuto farsi da parte oppure avrebbero deciso di sfiduciarlo nell’Assemblea capitolina, il consiglio comunale di Roma. Uno stillicidio proseguito poi con una riunione di giunta in cui Marino era apparso praticamente solo, discount con le dimissioni rassegnate da tre assessori nominati in estate, come ultimo tentativo del Pd per raddrizzare una storia diventata sempre più storta, giorno dopo giorno, lontano anni-luce da quel giugno 2013 in cui il “sindaco marziano” era stato eletto. Anche dopo quello che sembra il sipario finale della vicenda, tuttavia, Marino ha stupito: “Voglio una verifica – è stata la sua prima dichiarazione in una lettera ai romani – Ho 20 giorni per ritirare le mie dimissioni” (il testo integrale). “Non è un’astuzia la mia – precisa – E’ la ricerca di una verifica seria, se è ancora possibile ricostruire queste condizioni politiche”. Marino si rivolge ai romani spiegato che la riflessione e la successiva decisione è stata presa “avendo come unica stella polare l’interesse della Capitale d’Italia, remedy della mia città”. Il sindaco uscente tuttavia aggiunge di “nutrire un serio timore che tornino a governare le logiche del passato, quelle della speculazione, degli illeciti interessi privati, del consociativismo e del meccanismo corruttivo-mafioso che ha toccato anche parti del Pd e che senza di me avrebbe travolto non solo l’intero partito e il Campidoglio”. Ma la risposta del Pd dice tutto: esprime apprezzamento per il “gesto di responsabilità”, “è una scelta giusta che dimostra la sua volontà di mettere al primo posto l’interesse della città”.
Così Roma, la capitale d’Italia, dopo la tempesta giudiziaria che si è abbattuta sul Campidoglio con Mafia Capitale e a ridosso del Giubileo di Papa Francesco, si ritrova senza una guida amministrativa, nonostante il contesto fosse già molto delicato e complicato. Da settimane la guida di Marino era indebolita, appesa a un filo. Le sue “figuracce”, a metà tra gaffe, errori, bugie e versioni controverse. Ma anche la relazione del prefetto di Roma Franco Gabrielli su Mafia Capitale e il trasferimento proprio all’ex capo della Protezione civile delle deleghe per l’Anno santo. L’ultimo capitombolo sul viaggio a Filadelfia per seguire proprio il pontefice che ha fatto irritare lo stesso Bergoglio: “Non l’ho invitato io”. Ma la caduta è stata provocata, per paradosso, per alcune ricevute di cene del sindaco, con altre smentite della Comunità di Sant’Egidio e addirittura un ristoratore.
Le dimissioni degli assessori: “Non ci sono condizioni per andare avanti”
Il Partito democratico ha lasciato solo Marino già dalla notte tra mercoledì e giovedì. Sono continui i contatti tra il segretario Matteo Renzi e il commissario di Roma (e presidente nazionale) Matteo Orfini. Il vicesindaco Marco Causi, l’assessore ai Trasporti Stefano Esposito e quello al Turismo Luigina Di Liegro. Quella del mandato di Marino è una “fine inevitabile” l’aveva definita Esposito. Lui, con Causi, Di Liegro e Marco Rossi Doria, erano gli ultimi tre innesti nella giunta del Campidoglio, tutti di area renziana. E nella riunione in Comune hanno detto al sindaco che non ci sono più le condizioni per andare avanti. Ma Marino, ancora una volta, ha detto di non avere intenzione di mollare, di voler resistere. Ha proposto un nuovo rimpasto, il quarto in due anni. Finisce con l’immagine di un “giapponese”, barricato in Campidoglio. Altri sono pronti a lasciare. Secondo l’AdnKronos solo due sono disposti a rimanere fino all’estremo: l’assessore all’Ambiente Estella Marino, la più votata del Pd in consiglio, e l’assessore al Patrimonio Alessandra Cattoi, da sempre vicinissima a Marino, coordinatrice del suo comitato elettorale.
La riunione di giunta, durata poco più di due ore, viene descritta ai limiti del drammatico con il sindaco che ha invitato a partecipare anche i consiglieri di maggioranza e i presidenti dei municipi (tutti di centrosinistra) anche per fare una conta, per capire chi non sta più al gioco e chi invece gli è ormai contrario. L’esito è stato quasi scontato: Marino ha capito di essere solo e nonostante questo non ha preso decisioni. All’uscita da Palazzo Senatorio diversi assessori, tra cui il dimissionario Esposito, Alfonso Sabella, Estella Marino, Giovanna Marinelli sono stati accolti da cori di protesta come “Dimissioni”, “Vergogna”. Sabella e Causi, dopo un vertice con Orfini (che ha incontrato anche il presidente di Sel Paolo Cento e i consiglieri del Pd) sono rientrati per dire al sindaco: “E’ finita, dimettiti”.
Contestatori in piazza: “Via il peggior sindaco della storia”
E ora in piazza del Campidoglio, da ore, ci sono decine di persone, divise in fazioni. Da una parte i contestatori che gridano “Marino vattene a casa”. Dall’altra chi invita a “resistere”. Con tanto di scontri verbali. In piazza, per urlare al sindaco di “andare a casa”, ci sono Marco Pomarici, consigliere comunale di Noi con Salvini, ed ex presidente dell’Assemblea capitolina, ma anche molti esponenti dei partiti e movimenti di centrodestra, dai consiglieri di opposizione, come l’ex assessore Davide Bordoni (Forza Italia) e l’ex vicesindaco della giunta Alemanno Sveva Belviso (Altra destra), fino al vicepresidente di Casapound Simone Di Stefano. Sotto il Campidoglio è arrivata anche una figura di cartone con l’immagine del sindaco di Roma e la scritta “Bye bye Marino #gameover”, una protesta organizzata dal Nuovo Centrodestra. “Liberiamo Roma dal peggiore sindaco della storia”, dice la coordinatrice regionale di Ncd, Roberta Angelilli. Il Campidoglio è blindato, giornalisti e fotografi sono lasciati fuori. Dietro le transenne davanti alla scalinata laterale di Palazzo Senatorio, un presidio di polizia è schierato in un cordone accanto a due camionette.
M5s: “Ora non è più questione di legittimità, ma morale”
Le opposizioni non aspettano altro che l’ufficializzazione dell’addio. “Non è più una questione di legittimità, ora è diventata una questione morale per questo Marino si deve dimettere”, ha detto il deputato del Movimento 5 Stelle Alessandro Di Battista, che esclude di poter essere il candidato del movimento alle elezioni comunali. Chi non si nasconde è invece la deputata Roberta Lombardi: “Mi piacerebbe fare il sindaco di Roma, è quasi una mission impossible ma io sono sicura che quando una ha le mani pulite e non ha rapporti coi potentati, i costruttori e tutti quelli che governano questa città, lo possa fare in tutta tranquillità”.
Prima finestra per il voto a maggio
Mentre il conto alla rovescia procede spedito, il Pd si scervella per risolvere il rompicapo principale: come fare per evitare le elezioni in primavera? La prima finestra elettorale sarà maggio. Il lungo lavorio tra Orfini e il vice-segretario Lorenzo Guerini, investito della grana al Nazareno, avevano prodotto una sola decisione: bisogna fare qualcosa e alla svelta. Il problema è “cosa”. Il rebus è di quelli complicati. Due le opzioni sul tavolo: puntare sulle dimissioni immediate del sindaco o tirarla fino a dopo il 24 febbraio ed evitare così le elezioni in primavera. Nel primo caso, i romani verrebbero chiamati a votare a maggio assieme agli altri comuni come Milano e Torino e non ci sarebbe tempo per far dimenticare una gestione costellata da polemiche (caso della Panda rossa) e scandali nazionali (Mafia Capitale), con il rischio di consegnare la città al Movimento 5 Stelle, visto che in quanto a immagine neanche il centrodestra è messo bene dopo gli strascichi penali e amministrativi della gestione Alemanno, che da pochi giorni ha ricevuto l’avviso di fine indagini per Mafia Capitale.