Passi avanti dell’Ue sull’immigrazione: hotspot attivi entro novembre, ailment stop al caos alle frontiere esterne e un miliardo di euro per sostenere le agenzie Onu che stanno aiutando i profughi. «Questa è una notte importante», che segna «la fine del principio di Dublino», il regolamento per la gestione dei richiedenti asilo che obbliga l’identificazione dei migranti all’entrata nell’Ue e, soprattutto, l’obbligo di restare nel Paese in cui sono entrati nell’Ue. Così il presidente del Consiglio Matteo Renzi, che ha spiegato che «ora tutti i Paesi hanno la possibilità di dare una mano. Non soltanto sugli hotspot, ma anche sulla redistribuzione» dei richiedenti asilo e «sulla necessità dei ritorni gestiti dalla Ue. Mi sembra un passo avanti molto significativo». Soddisfazione ribadita anche dal ministro dell’Interno Angelino Alfano in una lettera al Corriere della Sera. Anche dai quattro premier (Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria e Romania) che hanno votato contro il meccanismo di ridistribuzione e si sono visti imporre la decisione non ci sono state reazioni particolari. «L’atmosfera è stata migliore delle mie attese. Sono soddisfatto», puntualizza il presidente della Commissione Ue Jean Claude Juncker. E il presidente del consiglio Ue Donald Tusk parla di «momento simbolico» perché si è messo fine al «gioco rischioso del biasimo reciproco». L’ondata più grande di profughi, aggiunge, «deve ancora arrivare» ed «è chiaro a tutti che non possiamo continuare come prima» con «porte e finestre aperte», e si pensa alla creazione di guardie di frontiera Ue.
Occorre anche sostegno economico ai Paesi del vicinato più esposti alle crisi di Iraq e Siria, a partire dalla Turchia, il cui presidente Erdogan sarà a Bruxelles il 5 ottobre prossimo. I fondi a disposizione però non bastano e Bruxelles ha richiamato i partner comunitari a mettere sul piatto denaro fresco, ottenendo riscontri positivi. Ai Paesi si sono chiesti 500milioni di euro per il trust fund per la Siria (a cui l’Italia contribuisce con tre milioni di euro e la Germania con cinque); 1,8 miliardi di euro per il Fondo per l’Africa; ma anche che gli stanziamenti dei Paesi («drasticamente ridotti» nel 2015) per le agenzie che si occupano di rifugiati come il World food program e l’Unhcr tornino ai livelli del 2014, fino ad un miliardo di euro almeno. Un confronto anche sulla situazione in Siria e in Libia. Mogherini aggiorna i leader sullo stato dell’arte, anche in vista della prossima assemblea generale dell’Onu dove si parlerà di tutte le crisi aperte. «Qualsiasi strada possibile per trovare una soluzione in Siria deve essere percorsa» afferma Francois Hollande quando gli viene chiesto se Vladimir Putin può avere un ruolo, e in una bilaterale col premier britannico David Cameron si ipotizza che i voli di ricognizione possano essere seguiti da attacchi. Per il premier bulgaro Bojko Borissov «solo con la collaborazione di Stati Uniti e Russia si può risolvere il conflitto». Questa «è la vera soluzione» anche alla crisi dei profughi, spiega. A dare un’idea della magnitudo del fenomeno che l’Europa si potrebbe trovare ad affrontare nei prossimi mesi Tusk, che reduce da viaggi in Turchia e Giordania, avverte: «Con 8 milioni di sfollati in Siria, oggi parliamo di milioni di potenziali rifugiati che cercano di raggiungere l’Europa. Siamo a un punto critico». Per la cancelliera tedesca Angela Merkel «si sono fatti passi avanti verso una soluzione»; il premier Cameron assicura che il Regno Unito «lavorerà con i partner Ue per mitigare il conflitto» in Siria ed offre altri cento milioni di sterline per la crisi dei profughi. I mal di pancia per la decisione sui ricollocamenti restano sullo sfondo. Hollande schiaffeggia i ribelli: «L’Europa è costituita da principi, e chi non li rispetta deve porsi la domanda sulla sua presenza in seno all’Ue». Il più duro è il premier slovacco Robert Fico, che ha già annunciato ufficialmente di volere procedere legalmente contro il provvedimento. Il primo ministro ceco Bohuslav Sobotka si dissocia: nonostante i malumori preferisce «non accrescere le tensioni». L’ungherese Viktor Orban, stufo di essere additato come «l’europeo cattivo», invita Merkel a non fare esercizi di «moralismo imperialista». E non rinuncia a uno scambio di battute energetico e sostanziale con il collega austriaco. I quattro Paesi del cosiddetto gruppo Visegrad (Slovacchia, Rep. Ceca, Polonia e Ungheria) si sono presentati alla riunione con una dichiarazione congiunta esprimendo, in parte, i concetti delle conclusioni del vertice. Il summit si è riunito dopo che Bruxelles ha aperto una quarantina di procedure di infrazione contro 19 Stati per mancanze nell’applicazione dei regolamenti sul sistema comune d’asilo (registrazioni, raccolta di impronte, accoglienza e rimpatri). (IlCorrieredellaSera)