L’americana Gm respinge le avance di fusione del capo di ?Fca. Ma lui insiste. Perché per crescere ha bisogno di capitali. Cosa c’è dietro il grande corteggiamento dell’estate.Da mesi Sergio Marchionne affronta gli analisti internazionali dichiarando apertamente il suo appetito globale. Ad aprile il gran capo diFiat Chrysler (Fca) aveva intrattenuto una platea di investitori con una relazione intitolata “Confessions of a capital junkie”. E cioè, rx tradotto, sale “Confessioni di un drogato del capitale”. I colossi dell’auto, spiegava quel dossier, guadagnano troppo poco in rapporto a quanto investono. Allora non c’è scampo, per resistere sulla trincea dei profitti bisogna abbassare l’asticella delle spese. E il modo più veloce per centrare il bersaglio è quello delle fusioni tra le grandi case automobilistiche. A quanto pare adesso il manager italo-americano ha deciso di passare dalle parole ai fatti, dalla teoria all’ azione. E lo sta facendo a modo suo, puntando dritto all’obiettivo, senza diplomazia e giri di parole. La fusione tra Fca e General Motors frutterebbe 30 miliardi di utili industriali all’anno. Il 20 per cento in più rispetto alla somma dei profitti previsti quest’anno per i due gruppi.
Marchionne parte da qui, da questi numeri, per concludere che, se i calcoli sono corretti, e lui ne è sicuro, la sua è un’offerta che non si può rifiutare. L’amministratore delegato di Fiat Chrysler è uscito pubblicamente allo scoperto a fine agosto con un’intervista al periodico americano “Automotive News”. La proposta però è caduta nel vuoto. Mary Barra, la manager che a fine 2013 ha preso il comando di Gm dopo 33 anni di onorato servizio nel gruppo, non ha nessuna intenzione di mettersi a discutere con il suo estroverso collega. Il quale sapeva benissimo di bussare invano alla porta altrui. Infatti, da almeno sei mesi, Fca sta mandando segnali chiari al colosso Usa, che ha sempre risposto allo stesso modo: «Non se ne fa niente».
(l’Espresso)