“Donne e scienza”, il rapporto della fondazione L’Oréal rivela che gli stereotipi di genere sono ancora forti 18 Settembre 2015 Nonostante battaglie secolari, rivendicazioni, slogan e programmi ad hoc il numero di scienziate rimane scarsissimo. In Occidente, meno di un terzo dei posti di ricerca scientifica è in mano al cosiddetto “gentil sesso”, mentre per quanto riguarda gli alti incarichi accademici ci si attesta sull’11%. Solo il 3% dei premi Nobel scientifici finora assegnati appartiene alle donne, tra cui la 66enne scienziata australiana Elizabeth Blackburn, autrice della scoperta del meccanismo di protezione molecolare dei cromosomi. Quando era al liceo, un insegnante le chiese come mai una ragazza tanto carina come lei studiasse materie scientifiche. “È passato mezzo secolo da quando il professore mi fece quella battuta sessista e i pregiudizi sono ancora molti”, ha commentato Elizabeth alla presentazione del nuovo rapporto su “Donne e Scienze” realizzato da OpinionWay per la fondazione L’Oréal. L’indagine, condotta in cinque Paesi europei tra cui l’Italia, dimostra che ben due terzi degli intervistati (addirittura il 70% in Italia) pensa che le donne non abbiano le capacità necessarie per una carriera scientifica di alto livello. Per testare la persistenza dei cliché l’azienda di sondaggi OpinionWay ha sottoposto gli intervistati a una sorta di quiz, domandando loro chi fossero i responsabili di determinate scoperte scientifiche: dal virus Hiv al gene legato al tumore al seno, fino alla composizione ad elio e idrogeno delle stelle. La maggior parte, uomini e donne indistintamente, ha risposto con il nome di un uomo, nonostante in tutti i casi il merito sia di tre scienziate. In generale, quando si domanda a qualcuno di ricordare un grande scienziato il 71% delle persone dice un nome maschile, con Albert Einstein che batte tutti (citato dal 45 %), mentre Marie Curie (27%) è l’eccezione che conferma la regola. Almeno nei simboli l’Italia è più fortunata: Rita Levi Montalcini viene ricordata dal 21% degli intervistati e Margherita Hack dall’8%. Dal momento che la metà del campione non vede ostacoli innati nella natura delle donne, a incidere particolarmente su questi pregiudizi sono le resistenze culturali. Le prime discriminazioni iniziano a scuola, con l’adolescenza: solo un terzo delle donne dichiara di essersi sentita incoraggiata a fare studi scientifici e il 9% ha avuto segnali negativi al riguardo. Inoltre, mentre al liceo non paiono esserci differenze di genere nello studio di materie scientifiche, all’università comincia a scavarsi un solco. “Bisogna combattere i pregiudizi sin dalla scuola”, commenta David Macdonald, direttore del programma “For Women in Science” di L’Oréal. Blackburn sostiene che esiste ancora il cliché della scienziata un po’ arcigna e bisbetica. (…) Il primo passo per sconfiggere gli stereotipi è accorgersi che esistono, nonostante il lungo cammino di emancipazione. Lo studio di OpinionWay dimostra che molti non ne sono consapevoli. Il 28% del campione è convinto che le donne occupino alla pari le più alte cariche accademiche: una sottovalutazione del fenomeno che è anche femminile. Per fortuna c’è disponibilità al cambiamento. Il 66% degli intervistati è scandalizzato dal fatto che i Nobel delle donne siano stati così pochi. L’84% vuole delle misure in favore della parità. Con delle quote? “Perché no -risponde Blackburn- se serve a ridare fiducia alle donne e creare un movimento si può studiare un meccanismo transitorio”. (HuffingtonPost)