MA FRENANO PRESTITI A IMPRESE” width=”300″ height=”200″ />(di CLAUDI PÉREZ, recipe Repubblica) Oltre venti grandi gruppi globali, generic da Blackrock a Hsbc, fino alle italiane Generali e Intesa Sanpaolo, presentano un appello a istituzioni, Banca centrale europea e Federal Reserve per ottenere “misure prudenziali” concentrate soprattutto su derivati, prestiti e sistema bancario ombra
BRUXELLES – Subito dopo il fallimento Lehman Brothers, nel 2008, i leader di tutto il mondo invocarono quella che l’ex presidente francese Nicolas Sarkozy definì la “rifondazione del capitalismo”. Le autorità risposero al disastro con una convulsa agenda di riforme: negli Stati Uniti si scrissero oltre trentamila pagine di norme finanziarie di natura varia, e in Europa se ne scrissero oltre sessantamila. Nonostante tutto, però, in pratica il sistema finanziario è rimasto proprio uguale a prima: è globale, gonfiato, fortemente indebitato, propenso a rischi eccessivi e soprattutto è portato a cadere sotto l’influenza dello stato, o per ottenere interventi di soccorso nell’ordine di miliardi, o per ridurre l’efficacia di quelle misure normative finalizzate a rendere meno infausta la prossima crisi. Il settore finanziario, che per anni ha scritto assegni per esercitare pressioni, adesso sta cambiando strategia: circa una ventina di grandi banche, compagnie di assicurazioni, investitori e altri operatori di primo piano di quel magma meglio noto come “i mercati” si sono accordati per esigere più regolamentazione. In un documento predisposto dal Davos World Economic Forum e firmato tra gli altri da Axel Weber (presidente di Ubs) e Douglas
Flint (Hsbc), sollecitano misure macroprudenziali finalizzate a “migliorare la stabilità finanziaria e ridurre l’impatto delle future crisi “.
Al contrario di quanto è accaduto in anni recenti – nei quali le prassi invalse nel settore industriale e la negligenza da parte degli organi di regolamentazione sono state le cause principali del tracollo – il settore finanziario sta lanciando segnali di un insolito interesse a rafforzare le regolamentazioni al fine di “limitare i rischi per il sistema” e “ridurre le inefficienze, quali un’eccessiva euforia collegata a determinati asset, per esempio nel mercato immobiliare “, quella stessa euforia eccessiva che ha fatto scoppiare la madre di tutte le bolle in paesi come gli Stati Uniti e la Spagna: così si legge nella dichiarazione resa nota oggi e ottenuta preventivamente dalla Leading European Newspaper Alliance (Lena). “Il sistema è il nostro rischio più grande. Essere la banca migliore in un sistema in fallimento è un po’ come occupare la suite presidenziale a bordo del Titanic” ha detto l’amministratore delegato di uno degli istituti firmatari, tra i quali compaiono Blackrock, Generali, Zurich, Intesa sanpaolo e il gruppo messicano Banorte.
La questione più importante è capire come occuparsi delle bolle, come domare la tigre. Le soluzioni alle quali si è fatto ricorso finora non hanno dato i risultati sperati: averle ignorate ed essersi limitati a sistemare in seguito i danni subiti ha portato alla superbolla esplosa nel 2008 dopo un’epoca di spettacolare crescita del credito. Ogni volta che il sistema finanziario è finito nei guai a causa dell’aumento del credito, le banche centrali sono intervenute e hanno trovato vari modi per stimolare l’economia. Il risultato finale di tutto ciò è la crisi presente che ha modificato il paradigma stesso delle politiche anticrisi e di regolamentazione. Insieme alle usuali politiche monetarie e fiscali, agli interventi di disciplinamento e controllo, gli organi di regolamentazione segnalano adesso una sorta di nuova ortodossia, nella quale giocheranno un ruolo importantissimo e di primo piano le politiche macroprudenziali, basate sul contrastare la crescita del credito e sul tentativo di proteggere l’economia dal sistema finanziario e il sistema finanziario dall’economia.
Douglas Flint, presidente di Hsbc, ha dichiarato che gli organi di regolamentazione non possono controllare ciascun ente in particolare: “Le decisioni strategiche che potrebbero rivelarsi ottimali per una data banca presa da sola potrebbero essere molto pericolose e incidere pesantemente sull’economia nel suo complesso se prese da tutti gli enti in uno stesso momento. Nello stesso modo, gli organi deputati alla regolamentazione devono tener d’occhio gli opportuni segnali d’allarme e avere misure macroprudenziali per gestire i rischi del sistema nel suo complesso”. Nel rapporto non si parla di misure specifiche, ma Flint dice che gli enti che appoggiano questa strategia “sono favorevoli ad aumentare la trasparenza del mercato dei derivati, a evitare il sistema bancario ombra, a controllare come siano limitati gli indici di indebitamento; in genere, le banche sono bendisposte ad accogliere qualsiasi soluzione che faciliti la stabilizzazione del sistema”.
Adesso, il settore bancario sollecita ancora una volta l’adozione di “un adeguato equilibrio tra stabilità finanziaria e crescita economica ” e chiede di ricorrere sporadicamente a tali misure. “Non è chiaro se saranno efficaci nel ridurre i rischi sistemici o il loro impatto sull’economia reale” si legge nel documento. “Nel caso in cui fossero concepite in maniera errata, tali misure potrebbero infatti provocare ancora più rischi” mette in guardia Michel Liès, amministratore delegato di Swiss Re. Axel Weber, ex presidente della Bundesbank e attualmente presso il colosso svizzero Ubs, aggiunge che le politiche macroprudenziali “potrebbero rivestire un ruolo fondamentale nel fornire stabilità, a patto che siano ben amministrate, ben gestite e che ci si occupi in modo opportuno anche dei loro possibili effetti collaterali “.
I grandi protagonisti di questo settore sono favorevoli a questa regolamentazione, che tuttavia deve essere applicata con grande attenzione. “Il messaggio per i politici è questo: continuate pure lungo questa strada, ma fatelo con la massima prudenza – dice Liès – Esiste infatti il pericolo di incentivi mal concepiti e mal strutturati, che potrebbero spingere alcuni enti a investire in determinati asset invece che in altri, finendo col provocare i medesimi rischi che si vorrebbero scongiurare, oltre a una mediocre allocazione delle risorse” aggiunge Flint. Gli organi ufficiali di controllo e le banche centrali hanno già utilizzato con parsimonia queste misure che rientravano negli strumenti a loro disposizione in caso di crisi, ma ne hanno intensificato l’uso. Gli accordi di Basilea III introducono “cuscinetti di riserve” controciclici (li aumentano nei periodi di crescita, ma sono più indulgenti con essi in periodi di contrazione del credito). Svezia, Regno Unito e Australia hanno appena approvato l’adozione di misure atte a contenere possibili bolle: limitano il volume dei mutui in rapporto al valore della proprietà o del reddito dei mutuatari, o all’uso dei fluttuanti tassi di interesse. Il Fmi evidenzia in uno studio del 2013 che un utilizzo adeguato di quel tipo di strumenti avrebbe consentito di ridurre del tutto il costo della ricapitalizzazione delle banche in Spagna.
In genere, gli organi di regolamentazione sono favorevoli agli adeguamenti di capitale e di liquidità in funzione del ciclo, allo scopo di evitare che tutte le banche si trovino esposte ai medesimi asset e di ridurre i rapporti di leverage: il volume dell’indebitamento potrà essere in rapporto ai loro asset. “Funzionerà? Chissà… Le banche centrali sono sotto pressione, soggette a decidere tra misure macroprudenziali e provvedimenti di politica monetaria e al fatto che, in teoria, questi strumenti sono nati da poco, e nel loro utilizzo c’è più arte che scienza” riassume Flint di Hsbc. Il settore mette in guardia dal fatto che le banche centrali potrebbero attaccarsi rapidamente al nuovo giocattolo – le politiche macroprudenziali – per non dover alzare i tassi di interesse. Sia Janet Yellen (Federal Reserve) sia Mario Draghi (Bce) hanno più volte avvertito che controllare la formazione di bolle oggi non implica cambiare il prezzo del denaro, ma utilizzare altri strumenti, applicandoli sia alle banche sia agli altri protagonisti del sistema finanziario che in genere sono meno controllati, per esempio gli asset manager.
“Dobbiamo accanirci fino in fondo con le banche o faremmo meglio a distribuire il rischio in zone nelle quali ci potrebbero essere esplosioni controllate?” chiede un dirigente di alto grado. Questa è soltanto una delle domande. L’altra è perché dalla batosta del 2008 non è cambiato quasi nulla. Dopo la crisi del 1929, le cose andarono in modo del tutto diverso: fu posto un freno significativo alla libertà delle banche, ed esse dovettero scegliere se essere banche di investimento o banche commerciali. La supervisione macroprudenziale rientra in una sorta di promessa: “Non accadrà più” dicono sia il settore finanziario sia gli organi di controllo. “Il settore deve dimostrare di nuovo che i suoi incentivi sono allineati con quelli della società: il sistema deve fornire la prova di essere di nuovo sotto controllo” conclude Flint.
Traduzione di Anna Bissanti Copyright L-ENA, Leading European Newspaper Alliance