Sorpresa! La potente e chiacchieratissima HSBC è la principale partner della SACE nelle operazioni di esportazione commerciale in Asia, come risulta dagli stessi siti della SACE e della HSBC anche in relazioni a recenti operazioni.
Il discorso sulla SACE è stato già iniziato nel sito cesarelanza.com il 12 gennaio 2015, in cui si dava notizia di una rilevante iniziativa giudiziaria avviata da una impresa italiana nei confronti della SACE per non avere tutelato il suo credito nei confronti della Corea del Nord (!),dapprima tenendo indenne la banca finanziatrice (la Midland Bank acquistata negli anni novanta dalla HSBC) e poi concedendo ai coreani inadempienti una dilazione decennale per rimborsare quanto pagato dalla SACE (cioè con i soldi pubblici)alla banca, il tutto senza che l’impresa italiana fosse soddisfatta interamente per il suo corrispettivo.
Bene, ora viene fuori da tutti i giornali del mondo, anche quelli economici, che cosa rappresenta nella finanza internazionale questa banca HSBC; e allora dobbiamo chiederci quale sia stato il comportamento della SACE, cioè se sia stato corretto tenere indenne la HSBC –finanziatrice della Corea del Nord! –lasciando insoddisfatta l’esportatrice italiana e dilazionando addirittura il proprio credito (cioè il credito dello Stato italiano poiché SACE all’epoca era un ente pubblico, ma anche la attuale veste di Spa non toglie che vi sia capitale interamente pubblico e controllo della Corte dei Conti) nei confronti dei coreani.
Pare che l’aiuto ai coreani sia stato motivato come aiuto umanitario! Ma intanto l’Unione Europea e l’Onu hanno accusato la Corea del Nord di spendere milioni di dollari in armamenti nucleari e l’hanno formalmente bandita da ogni consesso, considerando illecito ogni aiuto fornito alla Corea del Nord e ai suoi esponenti.
Secondo quanto emerge e risulta da atti e documenti anche depositati in sede giudiziaria, nell’attuale gestione della SACE si perpetuano rilevanti conseguenze, altamente pregiudizievoli sia per le finanze pubbliche che per gli assetti privati, originariamente derivanti da comportamenti tenuti dall’Ente per l’Assicurazione del credito all’esportazione, nell’ambito dell’operazione intercorsa tra l’esportatrice italiana “Lumace s.r.l.”,oggi incorporata dalla Grinka srl e la Repubblica Democratica di Corea (con riferimento alle articolazioni statuali nord-coreane deputate allo svolgimento degli affari economici, quali, in particolare, la” Korea Daesong Trading Corporation “ e la “ Korea Daesong Bank”).
La menzionata società esportatrice ,nel contesto di una operazione commerciale che si caratterizzò come la prima e principale iniziativa comune tra un’ impresa occidentale e gli enti statuali nord-coreani, fornì alla Repubblica Democratica di Corea un impianto per la lavorazione dell’oro verso un corrispettivo pattuito di circa novanta milioni di dollari, siccome previsto nel contratto stipulato in Roma il 4.6.1991.
In base alle previsioni contrattuali, si prevedeva che il corrispettivo venisse pagato all’esportatrice italiana, per conto della parte coreana, da un pool di istituti bancari, con capofila la “Midland Bank” inglese, poi acquistata dalla HSBC, che dovevano svolgere la funzione di finanziatori e, come tali, ricevere la garanzia della SACE (allora ente pubblico) ,in base alla disciplina di cui all’allora vigente “legge Ossola”.
Proprio in attuazione dei principi, enunciati in tale normativa, di tutela dell’esportazione da parte di produttori italiani, nelle condizioni di polizza si prevedeva espressamente che l’operatività della garanzia assicurativa della SACE nei confronti delle banche finanziatrici era subordinata al rispetto da parte degli stessi finanziatori di tutte le norme che regolavano la materia.
In realtà le banche non rispettarono le norme e molteplici furono le violazioni:
a) nella richiesta della garanzia alla SACE presentarono l’acquirente nord-coreano solido finanziariamente e patrimonialmente;
b)la garanzia del Governo coreano, altrettanto, solida e sicura (in pratica inesistente);
c)mancato rispetto del 5% obbligatorio.
Al contrario, le banche costrinsero l’esportatrice Lumace ad accollarsi il 5% di rischio obbligatorio;
d)mancate o tardive erogazioni all’esportatrice;
Pur a fronte di una situazione così grave e dell’ ingiustificata penalizzazione dell’attività e delle risorse di una importante e virtuosa compagine italiana, la SACE, anziché eccepire l’inoperatività della garanzia assicurativa a fronte dell’inadempimento della committenza coreana e delle banche finanziatrici, corrispose a queste ultime le somme erogate, per l’ammontare di circa settanta milioni di dollari al tasso del 9% (all’epoca il tasso di mercato per i prestiti in dollari era 2-3%).
Le banche lucrarono un interesse eccezionale, oltre un premio “una tantum” del Medio Credito Centrale pari a 15 miliardi di lire dell’epoca (differenza cambio lira-dollaro).
Un enorme danno per le casse pubbliche e per l’esportatrice italiana!
In particolare gli istituti bancari furono tenuti indenni dall’insolvenza coreana e ricevettero dalla SACE quanto avevano finanziato al tasso del 9%.
I gravi inadempimenti delle banche furono stranamente ignorati!
Una volta soddisfatti gli istituti bancari ( in misura ben superiore al dovuto) che fra l’altro entrarono nel mercato coreano del credito, a spese dello Stato Italiano ,la SACE subentrò nella posizione creditoria di questi nei confronti della committenza coreana e come prima iniziativa, sul credito immediatamente esigibile, concesse alla parte coreana una dilazione di dieci anni.
Tale dilazione, inspiegabile dall’origine, si risolve oggi in una sostanziale remissione del debito, atteso che la parte coreana nulla ha pagato e gli attuali amministratori della SACE non si sono attivati, né per via diplomatica né in sede giurisdizionale per ottenere l’adempimento.
La vicenda descritta impone una forte ed urgente esigenza di chiarimento da parte della attuale dirigenza SACE sia in ragione della funzione istituzionale di tutela dell’economia nazionale (il credito di settanta milioni di dollari del 1996 con gli interessi legali si è raddoppiato e non viene escusso) che nell’ottica dell’effettiva tutela degli esportatori italiani.
L’ attuale dirigenza della SACE è impegnata in un’opera di risanamento, sfociata da ultimo nella emissione di titoli sul mercato internazionale; ma, ci chiediamo, questa opera, di per sé meritoria e condotta con i criteri propri della società per azioni di tipo privatistico, è credibile se non si eliminano e chiariscono situazioni opache ereditate dalla gestione pubblicista? Soprattutto se i partners internazionali sono sempre gli stessi di allora, e cioè i colossi bancari multicontinentali di cui si parla in questi giorni? Quale vantaggio hanno le imprese italiane esploratrici e le casse dell’erario in caso di inadempimento dei vari paesi a rischio in cui vanno ad operare la garanzia SACE e il finanziamento di questi colossi bancari? Soprattutto, questi ultimi cosa ci guadagnano a finanziari paesi come la Corea del Nord, l’Oman ecc.? Di sicuro, in caso di inadempimento, cioè quasi sempre, perdono – e davvero tanto – l’erario italiano e le imprese italiane, se la SACE indennizza la banca finanziatrice (con interessi cospicui) e il paese straniero ( a rischio e , in qualche caso, addirittura escluso dai mercati internazionali) non paga né all’impresa fornitrice né SACE (cioè allo Stato italiano).
Avv. Salvatore Florio