Per avere un’idea di quanto aumenterebbe lo stipendio scegliendo l’anticipo, find si tratta di circa 72 euro netti al mese per un reddito lordo di 18 mila euro l’anno
(di Enrico Marro, Corriere)
ROMA – Con la conferma che arriva da Palazzo Chigi che l’operazione Tfr in busta paga partirà regolarmente dal prossimo primo marzo, come previsto dalla legge di Stabilità, circa 12 milioni di lavoratori dipendenti del settore privato saranno messi di fronte a una scelta. Continuare a impiegare gli accantonamenti annuali del Tfr (trattamento di fine rapporto) come si è fatto finora, cioè lasciandoli in azienda (o nel fondo Inps, per le imprese con più di 50 dipendenti) ai fini della liquidazione al momento del pensionamento, oppure destinandoli al finanziamento di un fondo pensione integrativo? O invece, ed è questa la novità, dirottare gli stessi accantonamenti in busta paga, aumentando così il proprio stipendio, ma ovviamente riducendo l’importo della futura liquidazione o pensione complementare?
Secondo quanto stabilito dalla legge di Stabilità e dal Dpcm (decreto della presidenza del consiglio dei ministri) che il governo ha inviato al Consiglio di Stato, la scelta di cosa fare dell’accantonamento annuale del Tfr ( all’incirca uno stipendio per anno) è volontaria e sperimentale. Chi vorrà, potrà chiedere con un apposito modulo al proprio datore di lavoro di versare il Tfr maturando in busta paga. Questa scelta si potrà compiere a partire dal primo marzo prossimo e fino alla metà del 2018. Una volta presa questa decisione il lavoratore non potrà tornare indietro. L’azienda gli verserà la quota mensile di Tfr in ogni stipendio fino a giugno 2018, quando la sperimentazione si chiuderà.
È evidente che nel fare la sua scelta il lavoratore terrà conto di molteplici fattori e non solo dell’aspetto fiscale. Ma per quanto riguarda quest’ultimo, il fatto che il governo abbia deciso di sottoporre il Tfr in busta paga alla ordinaria tassazione Irpef (alla quale si aggiungono le addizionali locali), fa sì che il prelievo risulti maggiore di quello agevolato previsto sul Tfr (si applica l’aliquota media effettiva degli ultimi 5 anni di lavoro), tranne che nei casi di redditi molto bassi. Secondo il Caf Acli, il lavoratore deve considerare che «la forbice di tassazione separata sul Tfr si attesta normalmente tra il 23 e il 26%, allo stesso livello dei primi due scaglioni Irpef che scontano due aliquote al 23 e 27% (rispettivamente fino a 15 mila euro lordi di reddito e dai 15 mila ai 28 mila euro)».
Fatto questo primo calcolo va però anche valutato, a svantaggio del Tfr in busta paga, che alle aliquote ordinarie Irpef vanno sommate le addizionali regionali e comunali, che «l’immissione del Tfr inciderà sulle detrazioni per lavoro dipendente o familiari a carico» e su eventuali prestazioni legate all’Isee (asilo nido, eventuali esenzioni Tasi, eccetera). Detto questo, per avere un’idea di quanto aumenterebbe lo stipendio scegliendo l’anticipo del Tfr, si tratta di circa 72 euro netti al mese per un reddito lordo di 18 mila euro l’anno, 100 euro per un reddito di 25 mila, 125 per uno di 35 mila. Infine, il lavoratore che volesse aderire all’operazione Tfr in busta paga dovrebbe anche considerare che, se è iscritto a un fondo pensione da almeno 8 anni può già ora chiedere, senza doverlo motivare, fino al 30% del montante accumulato, godendo di una tassazione più favorevole.
Reddito lordo di 18 mila euro
In tasca 72 euro ma niente rendita
ROMA Per illustrare le valutazioni che il lavoratore dovrebbe fare per decidere se aderire o meno all’operazione Tfr in busta paga seguiremo alcuni esempi elaborati da Mefop, la società del ministero dell’Economia per i fondi pensione, e dal Caf Uil, con l’avvertenza che l’aspetto fiscale non è esaustivo. Seguendo il Mefop, prendiamo un lavoratore con un reddito lordo di 18 mila euro. Se sceglie il Tfr in busta paga, riceverà circa 72 euro in più al mese (per 12 mesi). Considerando la tassazione di questa operazione rispetto a quella dello stesso Tfr messo in un fondo pensione o accantonato per la liquidazione e un tasso di rendimento medio di entrambi del 3% lordi, il lavoratore perderebbe, in 5 anni, circa 1.200 euro rispetto al Tfr lasciato in azienda e circa 1.700 euro rispetto al Tfr lasciato nel fondo.
Reddito lordo di 25 mila euro
Nello stipendio cento euro al mese
Prendiamo ora il caso di un lavoratore dipendente con un reddito lordo di 25 mila euro l’anno. Ipotizziamo, seguendo l’esempio elaborato da Mefop, di nuovo un tasso di rendimento lordo del fondo pensione e del Tfr del 3%, con un’inflazione media del 2% l’anno. Se il lavoratore opta per il trasferimento del Tfr maturando in busta paga, il suo stipendio salirà di circa 100 euro netti al mese (per 12 mesi). Dopo 5 anni (il calcolo non esclude una possibile proroga dell’operazione oltre il 2018) questo lavoratore avrebbe intascato 6.015 euro in più netti. Ma se in quello stesso periodo le quote di Tfr fossero state mantenuto in azienda, avrebbero fruttato 7.602 euro mentre se fossero andate a finanziare il fondo pensione, avrebbero reso ancora di più: 8.467 euro.
Reddito lordo di 35 mila euro
Prelievo Irpef più salato, va al 38%
Infine, prendiamo un dipendente con un reddito annuo di 35 mila euro lordi e seguiamo i calcoli del Caf Uil. Il Tfr maturato nell’anno è di 1.806 euro. Messo in busta paga subirà un prelievo Irpef del 38% anziché del 25,3% come sarebbe stato in caso di tassazione separata della liquidazione. Alla fine, con le addizionali locali, questo lavoratore pagherà circa 300 euro in più di Irpef. Ma gli svantaggi non finiscono qui. Aumentando il reddito, diminuiranno le eventuali detrazioni d’imposta sui familiari a carico. Inoltre, ma questo vale per redditi più bassi, se il lavoratore beneficia di prestazioni sociali legate all’Isee, l’indicatore di ricchezza familiare, possono esserci altre conseguenze negative, con l’aumento delle quote di compartecipazione o la perdita di eventuali esenzioni.