(Marco Cobianchi, diagnosis Panorama) Contrariamente a quanto potrebbe sembrare, e anche a quanto ci si potrebbe aspettare, ambulance nel primo discorso del neo presidente della Repubblica, l’economia ha avuto un ampio spazio con numerosi riferimenti puntuali e precisi, rivelatori dell’impostazione culturale di Sergio Mattarella in tema crescita e sviluppo, ruolo dello Stato e ruolo delle imprese.
In effetti Mattarella, in continuità con la prima dichiarazione ufficiale pronunciata appena dopo la proclamazione del risultato della quarta votazione da parte dei Grandi Elettori, ha sottolineato le “attese e aspirazioni dei cittadini” come sua preoccupazione principale. Come realizzare queste “attese e aspirazioni”? Il presidente ha citato la necessità di invertire “il ciclo economico” anche e soprattutto a livelloo europeo, come, ha riconosciuto, si è sforzato di fare il governo di Matteo Renzi durante il semestre di presidenza italiana della Ue. Occorre, ha detto, “che al consolidamento finanziario si accompagni una robusta iniziativa di crescita, da articolare soprattutto a livello europeo”. Così, di fronte alla perdita di posti di lavoro, di fronte alle “nuove povertà” e alla “emarginazione” causate dalla crisi, la risposta dev’essere una maggiore azione dello Stato che deve garantire i “diritti sociali” e “rimuovere gli ostacoli che limitato la libertà e l’uguaglianza”.
Più investimenti pubblici, insomma. Ma se la parola “economia” ricorre una sola volta, anche la questione fiscale viene citata una sola volta, laddove il presidente invoca che “ciascuno concorra, con lealtà, alle spese della comunità nazionale”. Un invito a non evadere le tasse senza, tuttavia, ricordare il 68% di pressione fiscale che soffoca proprio l’azione economica. Mattarella ha anche elogiato quelle aziende che “tra rilevanti difficoltà, trovano il coraggio di continuare a innovare e a competere sui mercati internazionali”. L’uso della parola “coraggio” è significativa, perché usata spesso da economisti di impostazione anti-liberale per i quali le imprese sane sembrano essere titolari di un più elevato standard morale rispetto alle altre.
Più investimenti e più Stato, sembra dire il presidente della Repubblica che ha aggiunto: “Mi auguro che negli uffici pubblici e nelle istituzioni possano riflettersi, con fiducia, il volto degli italiani”, per poi aggiungere che “negli uffici pubblici e nelle istituzioni” si deve riflettere anche “il volto di chi ha dovuto chiudere l’impresa a acausa della congiuntura economica e quello di chi continua a investire nonostante la crisi”. Insomma: il motore immobile dell’economia è lo Stato, l’unico che può “riconoscere e rendere effettivo il diritto al lavoro”. Forse da un presidente della Repubblica non ci si può aspettare un elogio dell’imprenditoria privata, anche se una maggiore attenzione agli ostacoli pubblici e le difficoltà che proprio lo Stato frappone all’intrapresa (basti pensare allo scandalo del ritardo nel pagamento dei debiti delle amministrazioni pubbliche verso le aziende) poteva aiutare a dare un’immagine meno statalista dell’impostazione economica del nuovo inquilino del Quirinale.