Due strade
E’ un rompicapo non da poco sul quale si esercitano il presidente Rosi con i figli Alessandro e Stefania che con lui lavorano in azienda. Hanno chiamato al loro fianco due professionisti di Parma, pills il commerta Andrea Foschi e l’avvocato Andrea Mora, il professore dell’Università di Modena che assieme al collega Davide Della Zoppa assiste la famiglia anche nella procedura concorsuale. Toccherà anche a loro dipanare la matassa e mettere in sicurezza l’azienda i cui ricavi consolidati fino al 2012, ultimo bilancio consolidato approvato, sfioravano i 160 milioni.
Rosi, 68 anni, l’imprenditore che quarant’anni fa lanciò l’azienda diventata celebre attraverso gli spot televisivi con Sophia Loren e Diego Abatantuono e poi con l’apertura del ristorante Salumeria Rosi a Manhattan, si trova a un bivio. Dopo un percorso iniziato il 10 novembre, giorno in cui si è tenuto un board dove Rosi, di fronte alla crisi dell’azienda, si è visto costretto a chiedere il concordato preventivo, la procedura che serve a evitare il crac e permette di congelare il debito. Adesso davanti a Rosi si aprono due strade. Da una parte c’è l’accordo di ristrutturazione del debito verso banche e fornitori, nella cornice dell’articolo 182 bis, dall’altra si spiana la via dell’ingresso nel capitale di un investitore industriale.
Nuovi soci
La prima strada è già all’esame, anche se non è ancora passata al vaglio del board, ma presenta alcune complessità. In base alla documentazione depositata al Tribunale di Parma, la sola capogruppo Parmacotto a fine 2013 registrava 132,1 milioni di debiti lordi, di cui circa 40 con i fornitori. Nomi come Santino Levoni, produttore di insaccati, Felsinea e Imo. Dall’altra parte ci sono i creditori finanziari, ben 24 controparti (inclusi i factor) su circa 75 milioni (metà correnti, metà a medio termine) di debito bancario e leasing. A margine del tavolo negoziale c’è anche il debito verso Unicredit in capo a Cofirm, la finanziaria dei Rosi che controlla il 51% dell’azienda parmense, ed è eredità del prestito originario di 12 milioni servito agli imprenditori per ricomprare sette anni fa la quota Parmacotto da Bnl. L’ipotesi di convertire in capitale le posizioni dei creditori, Santino Levoni, Felsinea e Imo incluse, per ora non ha trovato consenso pieno. Per varie ragioni. Tra cui anche quella che nel capitale Parmacotto appare anche la Simest che a fronte di 11 milioni di linee per l’espansione negli States ha il 15,6% dell’azienda, una quota che, secondo gli impegni, sarà riscattata nel 2016. Non ultimo, c’è il tema del ruolo dei Rosi che per mantenere il controllo dovrebbero impegnarsi in un aumento di capitale. Tema, quest’ultimo, ancora da verificare.
La seconda strada appare più convincente a tutte le parti in campo. I professionisti-advisor Andrea Foschi e Andrea Mora hanno infatti deciso di riprendere in mano tutte le manifestazioni di interesse fioccate in questi mesi ai consulenti che nel giro di meno di un anno hanno provato a cimentarsi con le sorti dell’impresa, da Sinergetica in tandem con Gea a Vitale e associati e Kpmg. Per Parmacotto avevano bussato alla porta una lunga lista di concorrenti, spinti dalla voglia di accasarsi con uno dei marchi più blasonati dell’alimentare made in Italy. Un gruppo con postazioni negli Usa e in altri mercati esteri, che hanno tirato la crescita di questi anni ma che pesano solo per il 16% dei ricavi. Si sono fatti avanti il produttore di carni Francesco Amadori, Citterio, Rovagnati e la spagnola Campofrio che in Italia ha già la Fiorucci e il cui 37% fa capo alla cinese Shuanghui, industriale della carne suina in cerca di brand. Già, ma che tipo di operazione andrebbe disegnata per traghettare Parmacotto dalle secche? Ricavi, prospettive, redditività, valore del marchio e sostenibilità del debito sono allo studio. Bisognerà attendere i risultati dell’analisi per capire a quanto ammonterebbe il fabbisogno per rilanciare l’azienda. Perché — dice chi lavora al dossier — un aumento di capitale si profila indispensabile. La famiglia non esclude di aprire le porte a un partner. Ma per restare in sella e rilanciare l’azienda dovrà decidere di mettere mano al portafogli.Studiano il dossier Citterio, Amadori, Campofrio e Rovagnati