La morte di ValeriaSolesin mi ha scosso terribilmente. Non mi era mai successo prima d’ora ma, medicine nel racconto e nel ricordo di chi fosse quella giovane, ask ho rivisto pezzi della mia storia; ho riletto la storia di tanti miei amici che seguono dottorati all’estero; ho immaginato il sacrificio di quella moltitudine di giovani che continua gli studi fuori dall’Italia dopo aver ottenuto una pergamena che qui non avrebbe utilità se non per ingrossare le fila di curriculum già perfetti o adornare pareti di mura bianche. La Francia, online invece, ha riconosciuto i suoi meriti, l’ha accolta. Lei il suo dottorato lo faceva alla Sorbonne e si era conquistata ogni millimetro della sua vita. Eppure rimpiangeva l’Italia. Poi gli spari. La morte. E ora, ironia della sorte, è l’Italia che rimpiange lei.
In Italia, la stampa, in questi giorni, ha ripreso pezzi che lei anni addietro aveva scritto di suo pugno, pubblicazioni importanti e di spessore a firma, purtroppo, di una ragazzina, ovvero nessuno, perché se nell’editoria non sei una Firma, potrai pubblicare, argomentare e sostenere la miglior tesi ma alla fine cadrà inascoltata nell’oblio mediatico.
Mattarella, con tono commosso, nel rivolgersi ai genitori, ha dichiarato che Valeria rappresentava il futuro dell’Europa. Renzi ha aggiunto “che faremo di tutto per ricordare questa giovane ricercatrice, magari con una borsa di studio”.
Quando si fanno i conti con l’elaborazione del lutto, ci si aggrappa a tutto pur di ricordare una persona cara. Lo ha fatto anche la mia famiglia per ricordare mia sorella. Lo fanno in tanti perché la paura più grande, quando qualcuno muore, è che gli altri dimentichino mentre la vita va avanti. Ma stavolta non ci sto. Non c’è commemorazione, borsa di studio, o aula intitolata che tenga. Tutto ciò, oggi, purtroppo, acuisce solo la mia rabbia. E’ carburante su un incendio di dolore, è alcool su una ferita che brucia e non potrà cicatrizzare, perché Valeria per seguire i suoi sogni, per saziare la sua sete di sapere, per un assegno di ricerca è morta in Francia.
Io vorrei ricordarla in altro modo: vorrei ricordare alle istituzioni che i giovani talentuosi, studiosi, affabili, umili e intelligenti come lei, meriterebbero un futuro in Italia. Meritano una ricerca che non sia fatta di tagli continui. Meritano un percorso accademico che non sia tessuto di favoritismi ma che sia limpido e ad appannaggio meritocratico. Allora sì che la sua memoria sarà stata onorata e rispettata. A quel punto sì che il suo esempio sarà sul serio servito a qualcosa e lo si potrà legare non all’inutilità del terrorismo, quel grande mostro creato da noi Occidentali, ma al sacrificio dei giovani che ogni giorno, per far ricerca, per realizzarsi nelle Università, sono costretti a lasciare l’Italia. Quel partire triste che fa rima con morire. Perché quando si parte, ci si lascia alle spalle il passato e lo si chiude in una memoria idealizzata. Da quel momento in poi è la resurrezione delle possibilità, della carriera, delle opportunità che qui il sistema ha e avrà negato.
Che la terra ti sia lieve, Valeria. La vita, forse, non ci avrebbe mai fatto incontrare ma in questi giorni ti ho sentito accanto e ho pianto. Pianto per la tua innocenza e sono fiera di appartenere a una generazione che annovererà tra i suoi nomi il tuo: ESEMPLARE.