PREMESSA
Va quasi sempre così: ci si accorge che qualcosa muore – un sistema, sale un mondo, store uno stile – solo dopo aver aspirato per mesi (o decenni, order addirittura) l’odore della putrefazione. Come con quella professoressa morta da due anni nel suo appartamento di Roma e ignorata dai vicini, di cui Francesco Merlo ha voluto, in uno slancio di spericolato lirismo, fare poesia e metafora. Professoressa non a caso. È spaventosa allegoria del suo mestiere.
La scuola di oggi sta morendo e noi ci giriamo dall’altra parte. O, peggio, acceleriamo la sua fine. Abbiamo lasciato passare i decenni senza pensare alle sue incongruenze. Le abbiamo permesso di tirarsi avanti stancamente, per inerzia. Sono passate le guerre e le polemiche del ’68. I delitti politici e quelli di mafia. La droga e l’Aids. Internet e la scoperta dell’orgoglio gay. Il lavoro stabile, la morte naturale.
Adesso non sappiamo come contenere i migranti, dove metterli, cosa fare per loro e di loro. Non abbiamo neanche il tempo per respirare e ce lo facciamo succhiare dai social network. I figli li parcheggiamo come facevano i nostri padri e i nostri nonni nel solito posto di sempre, e chi si è visto si è visto. Purché ci sia l’inglese ab ovo, va tutto bene. Va tutto bene. Vaa tuutto beene. Più che una constatazione, training autogeno.
Invece niente va bene. La scuola deve cominciare a pensare di formare quelli che la reinventeranno. Quelli che avranno il coraggio, o anche solo l’onestà, di rivoltarla dalle radici. Di rimettergliele in cielo, spenglerianamente: l’unica cosa che non conosce muffa e corruzione. Ma lì occorre volare, non studiare. Non svolazzare come galline allungando il collo: volare. Volare è libertà – non pregiudizio, non giogo da buoi. Nemmeno gioco da illusi. È sincerità continua – con se stessi, soprattutto. È interrogarsi su cosa ancora funziona e su cosa invece non funziona più.
La scuola di oggi è una scuola ingiusta. Ingiusta verso le illusioni e le speranze dei suoi allievi giovanissimi. Incapace di rispondere alle loro domande implicite, di aiutarli a contenere gli errori madornali che l’ingenuità tende a fare. È una gabbia dove si impara la fatica da muli e la scaltrezza ipocrita. Dove si diventa insicuri e insofferenti. Dove il qui-e-ora non entra.
E non continuiamo a prenderci in giro dicendo che la scuola guarda al sempre. Il sempre è per eccellenza il sempre vivo.
Dovremo preparare la naftalina per Omero, per il greco antico, per la letteratura italiana del Trecento? Ma no, non serve. Continueranno a esserci dei pochi che vorranno arrampicarsi fin lassù (non serve chiamarli eletti – non penso sia di loro gusto). Ma prima di Omero cominciamo a far leggere ai ragazzi Sciascia, a portarli in libreria, a far loro orecchiare quello che si scrive oggi. E risaliamo, invece di scendere. Dal concreto all’astratto. Dall’ora allo ieri. Il sempre di Omero non è Omero: è la virtù di Omero, che è la virtù in sé. E comincia con sincerità ed entusiasmo. Anche la sincerità di un “A me Omero mi fa schifo”.
Riformare la scuola è compito che la politica dovrà assumersi al più presto.
Intanto, facciamo un po’ di brainstorming con una specie di questionario proustiano che abbiamo rivolto non solo ai tecnici della pedagogia.
Silvia Valerio
INTERVISTA
Lei è la bella ragazza che si vede di spalle nella famosa pubblicità del Luxardo degli anni ’80, quella che parla, anzi scrive, con la erre moscia. E poi è la ragazza della Golia che sfrizzola il velopendulo e galvanizza l’ugola, di “Liscia, gassata o Ferrarelle?”, delle pagine promozionali di Ciocorì, della Fiat, di Bticino, Illy e poi ancora e ancora, passando per molte delle più celebri pubblicità. Annamaria (nomen omen) Testa (nessun legame di parentela, però, con Armando e l’omonima agenzia) è la voce instancabile e appassionata della creatività italiana; copywriter negli anni ruggenti della pubblicità, ha lavorato per le più grandi agenzie di comunicazione e nel 2005 ne ha fondata una: la società Progetti Nuovi.
Sul suo sito NuovoeUtile, dedicato alla diffusione di “teorie e pratiche della creatività”, si occupa di tutto quello che un tempo sarebbe stato definito disciplina umanistica – lettere, psicologia, arte, mondo del lavoro, educazione e, naturalmente, tecniche di scrittura (La trama lucente e Minuti scritti, Rizzoli, andrebbero adottati a scuola come libri di testo, insieme all’antologia) –, cercando di fare dell’intelligenza opera d’arte. Prima donna a essere entrata nella Hall of Fame dell’Art Directors Club Italiano, è consulente, giornalista per le pagine di Internazionale.it e insegna all’Università Bocconi di Milano. Negli anni, è stata ideatrice e promotrice di iniziative di valore come #dilloinitaliano, petizione per salvare la lingua italiana dagli orrori del burocratichese e dell’itanglese, il corso per la prevenzione degli incidenti e il pronto soccorso pediatrico. E, soprattutto, le novantacinque tesi sulla scuola per migliorarla e vivificarla, ripulendola dai tecnicismi sterili e dai moralismi inutili.
Perché “chiedere all’analisi testuale di dar conto della magia di una narrazione è come chiedere a un anatomopatologo di dar conto del sex appeal di Marilyn Monroe”.
La scuola di oggi riesce a dare agli studenti gli strumenti per affrontare le necessità di questo tempo? È ora di riformare radicalmente i suoi programmi? Partendo da cosa?
Alcuni docenti in alcune scuole riescono a tenere il passo. La maggioranza fa del suo meglio, con ampi spazi di miglioramento. E alcuni proprio non ce la fanno o, peggio ancora, non si pongono neanche il problema. Per rendersene conto basta dare un’occhiata al recente rapporto Ocse sull’uso del computer a scuola.
In seguito a questo rapporto, e proprio pensando agli insegnanti, ho pubblicato una breve guida per fare ricerche in rete:
http://nuovoeutile.it/fare-ricerche-in-rete/
Che cosa cambierebbe, che cosa toglierebbe, che cosa introdurrebbe?
Ho provato a parlarne in un articolo uscito su Nuovoeutile:
http://nuovoeutile.it/novantacinque-tesi-sulla-scuola/ In estrema sintesi: l’idea è costruire una scuola capace di interessare, di formare, di motivare gli studenti. E di restituire senso sia all’insegnamento, sia all’apprendimento.
Come potrebbe una buona scuola favorire l‘inserimento nel mondo del lavoro?
Domanda cruciale e risposta complicata. Ma mi verrebbe da trasformarla in una domanda ancor più difficile: “come può la scuola favorire l’ingresso nella vita adulta, di cui il lavoro è una parte fondamentale, ma certo non l’unica parte?”
Una risposta di sintesi potrebbe essere: sviluppando il pensiero critico, il senso di responsabilità, il senso di cittadinanza e di giustizia, la solidarietà. Per ottenere questo obiettivo, il “come” si insegna è altrettanto, e forse più, importante del “che cosa” si insegna.
A questo proposito, di nuovo l’Ocse: http://nuovoeutile.it/quanto-deve-cambiare-la-scuola-del-duemila/
È ancora sensato puntare a una pedagogia di tipo etico-astratto, idealistico, invece che funzionale? Non è un prendersi in giro fingendo vivo un universo di valori assoluti che la storia recente ha ucciso? La formula “serve per aprire la mente” non ha il sapore di un’illusione?
La formula “serve per aprire la mente” è l’unica che può davvero proiettare in un futuro dove tutti i lavori che possono essere svolti da “menti chiuse” verranno affidati ai computer.
Tutto ciò che di specifico e funzionale si apprende a scuola rischia di risultare obsoleto entro pochissimi anni. Tutto ciò che aiuta a sviluppare curiosità, metodo, capacità di gestire situazioni ambigue, di trovare informazioni e di metterle a sistema, e capacità di entrare in relazione con gli altri e di mettersi in gioco, serve per un’intera vita.
L’alfabetizzazione di massa è un problema ormai superato. Varrebbe la pena lasciare, fin dalle elementari, più libertà di scelta agli studenti e alle famiglie, sia per quanto riguarda la possibilità di specializzarsi in certi ambiti piuttosto che in altri, sia per quanto riguarda gli orari in cui frequentare la scuola? Mantenere magari un minimo di ore obbligatorie e renderne facoltative e personalizzabili altrettante?
Sul fatto che l’alfabetizzazione di massa sia un problema ormai superato ho più di un dubbio. Comunque: bisognerebbe, ormai lo dicono molte ricerche, mandare gli studenti a scuola almeno un’ora più tardi. Bisognerebbe ridurre i tempi morti (quanti in aula riescono a stare attenti durante le interrogazioni, per esempio?). Bisognerebbe essere ancor più esigenti sulle competenze di base, e provvedere ad affinarle. E sarebbe interessante avere qualche ora alla settimana (ho scritto qualche ora, non “la maggior parte del tempo”!) per approfondimenti o insegnamenti opzionali. Ho letto che il liceo Parini di Milano sta avviando una sperimentazione proprio in questo senso.
http://milano.repubblica.it/cronaca/2015/09/14/news/scuola_parini_milano-122834318/
Non è necessario, sempre, dalle elementari alle superiori, lasciare ai ragazzi del tempo per coltivare altre qualità oltre all’efficienza della mente?
Sì certo. Inoltre: ogni individuo è fatto sia di mente, sia di corpo. E lo sport continua a essere troppo sottovalutato nelle nostre scuole.
È vero, almeno qualche volta, che “lo stupido istruito ha solo un campo più vasto per praticare la sua stupidità”?
È spesso vero.