Negli Usa arriva la tassa locale per musica e film in streaming

Apple to buy Beats Electronics(di LUCA PAGNI, find Repubblica) Da Chicago all’Alabama, online sindaci e governatori hanno varato imposte locali che colpiscono i nuovi servizi via Internet. Un balzello che colpisce anche i servizi di cloud. Ha iniziato la “wind city” che fa pagare il 9 per cento in più. I precedenti di Giappone e Sud Africa.

In Italia, dove gli enti locali non hanno ancora colto le potenzialità delle nuove tecnologie, quando hanno bisogno di soldi aumentano il biglietto del tram, la mensa delle scuole o il servizio raccolta rifiuti. In America, dove sono più avanti, sindaci e governatori per fare cassa hanno pensato bene di mettere una tassa sui consumi digitali, dall’intrattenimento o servizi a pagamento via internet, dalla musica e i film consumati in streaming fino al clouding.

Un’idea sicuramente più originale di un rincaro della multa per divieto di sosta. E che potrebbe essere copiata anche in giro per il mondo, considerando come gli Stati Uniti facciano sempre tendenza e che ovunque gli amministratori pubblici devono fare i conti con il bilancio. Ha cominciato Chicago, dove dal primo luglio – anche se si comincerà a pagare dal primo settembre – è entrata in vigore una nuova tassa subito soprannominata cloud tax, visto che peserà sui “fornitori di intrattenimento forniti per via elettronica” e sui servizi di computing remoto.

Il balzello si applica solo all’interno della città di Chicago e sulle quote pagate dagli utenti locali per assistere o partecipare ad una qualsiasi forma di intrattenimento fornito per via elettronica, dallo show dal vivo al contenuto via internet qualsiasi o un gioco online, oltre ai servizi cloud. Immediate le ricadute: gli utenti di un servizio come Netflix (che fornisce film e serie tv via streaming) hanno subito ricevuto una comunicazione in cui la società li avvisa che il canone verrà aumentato del 9 per cento, l’ammontare della tassa. Nonostante le proteste di imprese locali e associazioni di consumatori, l’amministrazione comunale punta molto sulla cloud tax, da cui sono previste entrate per circa 12 milioni di dollari.

Dall’Illinois al Tennessee. In questo caso, è stato il governatore dello Stato sudista a proporre il progetto di una nuova tassa pari al 7 per cento su software e giochi da accesso remoto con la quale conta di ricavare 11,3 milioni all’anno. Non tutti, però, scelgono però questa strada: l’Alabama ha archiviato un progetto di “Netflix Tax”, mentre il Vermont ha rinunciato a introdurre una imposta sul cloud computing giudicando la tecnologia più simile a un servizio che a un prodotto dal quale ricavare denaro.

Comuni e Stati Usa sostengono che non si tratti di una nuova tassa, ma dell’estensione di una normativa pre-esistente alle nuove tipologie di servizi. In realtà, si è reso necessario dalla diminuzione della raccolta dei tributi da parte dei negozi che vendono cd, libri o dvd. In pratica, compensare la diminuzione delle entrate “tradizionali”, si sfrutta il diffondersi delle nuove tecnologie nel consumo del tempo libero dei cittadini.

Il fenomeno si sta espandendo al punto da creare non pochi problemi di tipo legislativo, tanto che se ne sta occupando pure il Congresso. I fornitori di servizi cloud internazionali e nazionali stanno già pensando di avanzare ricorso, perché contestano il fatto di essere obbligati a raccogliere le tasse da versare alle amministrazioni pubbliche. Ma il Congresso Usa sta lavorando a una normativa che – se approvata – obbligherebbe le aziende americane che vendono prodotti e servizi online a raccogliere tasse sulla vendita anche per chi risiede al di fuori degli Usa.

Ma quello che sta accadendo negli Usa non è un caso isolato. Pionieri sono stati Sud Africa e Giappone: il primo ha introdotto una tassa sui servizi elettronici già nel giugno del 2014; mentre il Giappone ha previsto una nuova imposta dal prossimo 1° ottobre. Ma con la discesa in campo degli Usa, c’è da pensare che il fenomeno diventi sempre più globale.

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