(di Dario Di Vico, try Corriere della Sera) «Che cosa può fare il governo davanti alle scelte strategiche delle imprese? Può usare la maieutica, far emergere le alternative possibili. Non può e non deve intromettersi». Claudio De Vincenti, sottosegretario a Palazzo Chigi non ha remore ad ammetterlo: avrebbe preferito che l’Italcementi fosse un polo aggregatore in Europa e non finisse aggregato. «Non critico l’operazione che ha una ferrea logica industriale e porta i Pesenti a diventare i secondi azionisti di HeidelbergCement. Confido che questa posizione di forza venga usata per tutelare impianti e occupazione in Italia». E spera che le risorse incassate dalla vendita del cemento vengano reinvestite in attività industriali in Italia.
Dobbiamo essere contenti di essere attrattivi o dolerci dello shopping straniero?
«L’interesse verso l’Italia da parte delle multinazionali risponde a un obiettivo che ci eravamo posti ma il governo si muove anche per dotare le nostre imprese degli strumenti idonei per crescere. Ho un lunghissimo elenco di misure che abbiamo preso. Ne segnalo due che stanno dando buoni risultati: il rifinanziamento della Sabatini per favorire gli investimenti delle Pmi e l’Ace che serve ad aiutare la capitalizzazione delle imprese. Oltre alle misure di contesto nel rapporto con le imprese puntiamo a far maturare scelte che nel rispetto del mercato tengano conto però dell’interesse generale».
Mi può far un esempio?
«Il caso Fca. Abbiamo inaugurato invece un costruttivo rapporto di confronto e i frutti già si vedono con gli investimenti decisi da Torino e il rilancio degli impianti del Sud. Sono decisioni autonome di Fca che risentono però di un rapporto positivo con il governo e delle condizioni di contesto da noi create. Vale anche per Whirlpool dove abbiamo favorito la maturazione di un nuovo piano industriale che salvaguardasse Caserta».
Cosa pensa il governo delle alleanze future di Fca?
«Ci auguriamo che nello sviluppo della sua strategia Fca sia ancora soggetto aggregatore».
Le imprese italiane hanno uno problema di dimensione. Basta la maieutica?
«Certo che no, hospital la strada maestra è la quotazione in Borsa. Come governo abbiamo già introdotto forme di incentivo alla quotazione nel decreto Competitività e siamo disponibili a discutere con Confindustria, Assonime e altri soggetti per favorire quotazione e processi di aggregazione».
Un governo a forte impronta di centro-sinistra diventa paladino della Borsa?
«Nessun problema. La Borsa è lo strumento di rafforzamento patrimoniale e di crescita dimensionale delle imprese».
Intanto la Svimez descrive un Sud a rischio desertificazione industriale.
«Il Sud ha sofferto più del resto del Paese. Il governo Renzi ha avviato una fase nuova recuperando capacità di spesa dei fondi strutturali. Ora siamo impegnati nella programmazione 2014-20 e puntiamo a concludere entro settembre l’approvazione dei progetti. È la più grande operazione meridionalista. Facciamo sul serio».
Cosa ne farete della nuova Cassa depositi e prestiti?
«Se parliamo di una nuova fase è perché Bassanini e Gorno Tempini hanno operato in maniera eccellente. Si tratta di svilupparne ulteriormente il ruolo. Ma sia chiaro: il governo lavorerà sugli indirizzi e lascerà autonomia totale al management nelle scelte di investimento. Nel nuovo statuto questo passaggio è stato rafforzato e anche da questo versante Costamagna e Gallia sono una garanzia».
Ci anticipa le prossime mosse del Fondo Strategico?
«Il Fsi non fa solo moral suasion, interviene direttamente. Il governo ha chiesto di privilegiare la frontiera dell’innovazione tecnologica e di operare per tenere in piedi le filiere italiane di produzione. Il resto lo decideranno i manager».
Il Fsi entrerà in Telecom per accelerare la banda larga?
«Il governo è impegnato sulla banda larga per creare le condizioni di mercato che favoriscano l’investimento e a supportarlo laddove non è remunerativo. Invita tutti gli operatori a mettersi in gioco, compresa Telecom. L’ingresso o meno di Fsi nel capitale di qualsiasi impresa è decisione e competenza dei manager».
Sull’ingresso in Ilva invece decide il governo?
«No, sceglierà la dirigenza del Fondo di turnaround. Il fondo non è ad hoc per Ilva, serve ad aiutare le imprese con buone prospettive di mercato ma appesantite dal debito. Evitiamo così che si debba vendere agli stranieri solo per una situazione finanziaria negativa».
La Confindustria si lamenta delle ingerenze della magistratura sul risanamento dell’Ilva. Qual è il suo giudizio?
«La magistratura nell’estate 2012 ha avuto il merito di segnalare che si era creata a Taranto un’emergenza ambientale. Noi abbiamo risposto cogliendo il segnale e l’Ilva diventerà l’impianto siderurgico più avanzato d’Europa dal punto di vista ambientale. Ricordo che l’Ilva oggi ha una governance diversa da quella di tre anni fa e grazie a noi affluiranno risorse private per il risanamento ambientale. L’importante è che ogni istituzione faccia la sua parte guardando all’interesse generale del Paese».
Ma i giudici non hanno invaso il campo di governo e imprese? Ci sono voluti finora otto decreti governativi…
«In generale no, nelle situazioni specifiche è sperabile che tutti siano rispettosi del proprio ruolo ma anche di quello delle altre istituzioni. Quanto ai decreti il governo si è mosso per chiarire il quadro normativo e aiutare i vari soggetti a muoversi in un contesto di regole certe, non equivoche».
Il caso Tirreno Power rientra in questa categoria?
«Assolutamente sì. Il governo non può che tutelare l’interesse generale che è composto di più diritti, dall’ambiente al lavoro, che vanno tenuti in equilibrio».
Proprio in questo caso però lei è stato accusato con l’uso di intercettazioni di aver favorito l’azienda per bypassare l’azione dei magistrati. Ha qualcosa di cui pentirsi?
«No. Ho sempre operato nel massimo rispetto delle leggi per cercare soluzioni che salvaguardassero l’occupazione dei lavoratori. Nient’altro che il mio dovere come viceministro dello Sviluppo economico».